I sammartinelli, biscotti di San Martino, sono tipici dolci di Palermo che si preparano nel periodo in cui si festeggia il santo (11 novembre). Il periodo coincide con quella che in sicilia si chiama Estate di San Martino: tradizione vorrebbe che dopo le prime gelate (?!?), in questi giorni la temperatura torni mite e faccia godere un sole estivo. Ormai, soprattutto da noi, è solo il prolungamento mite dell'estate, che non cede il passo al freddo fino a i primi di dicembre e a volte più.
Due modi di dire:
A San Martino ogni mosto è vino
A San Martino si tasta lu vinu
In questi giorni la vendemmia è finita ed il mosto si è trasformato in vino novello: molte cantine siciliane aprono le loro porte alla degustazione, e la città si riempie di vendite promozionali sul vino nuovo.
Il moscato è un vino liquoroso di origine medio-orientale dal profumo e dal sapore molto intenso. Il suo nome deriva dall'associazione col muschio (latino) e veniva prodotto dall'appassimento di uva molto zuccherina.
E' in vino ideale per questi dolcetti, sia per prepararli (bagna) sia per la versione friabile (tipo tricotti), che viene poi mangiata in inzuppo con questo liquore. E' sostituibile da altri vini liquorosi, ma questo è il sapore tipico che accompagna i sammartinelli.
Mi piace ultimamente riscoprire le antiche tradizioni della mia terra: la maternità mi ha fatto riscoprire il bisogno di essere legata ad un calendario antico, culturalmente religioso, religiosamente culturale.
La religione antica è la religione della vita: non so se definirlo proprio credo religioso, è in realtà una fede legata alla concretezza e non alla filosofia, è una devozione su cui si fonda la nostra quotidianità. E' fatta di stagioni che non riusciamo più a vedere, di date che non riusciamo più a ricordare.
Troppo lavoro, troppa fretta, troppo anonimato.
Le città sono troppo grandi e quel che rimane di alcuni gesti è solo l'edonistica voglia di mangiare cui segue la mano al portafogli per comprare. Vogliamo avere tutto e subito, e compriamo. Così insegniamo ai nostri figli che possiamo comprare tutto: un dolce, un passatempo, una felicità. Smarrendo però il senso di molte cose.
E' davvero difficile ricominciare. Io ci sto provando, ma sperimento tutta la fatica di tornare ai significati originari delle cose.
Mia figlia è ancora piccola, ma la rivoluzione comincia dalle piccole cose.
Intanto lavoro su me stessa. Apparentemente è quasi niente, è più una disposizione interiore che non qualcosa di visibile e appariscente (e però non è mica poco).
Però è un inizio: ricomincio a guardare il calendario, ché negli ultimi anni il tempo mi sfuggiva di mano, tra un periodo dell'anno e l'altro, e non sapevo nemmeno come. Ricomincio a guardare le stagioni, e ad accorgermi che esiste un autunno (per me sempre più difficile da guardare, rispetto ad altre stagioni), e forse anche una (perduta) mezza-stagione. Ricomincio a guardare quei pochi alberi che sono rimasti, e cosa si vende al mercato (che a ben guardare le specificità si trovano ancora).
Ricomincio dai sensi: guardare, odorare, sentire, toccare, gustare. Da un corpo dimenticato che può essere la nostra ri-voluzione.
I biscotti di San Martino ripieni da noi si chiamano raschi: non sono riuscita a trovare l'origine del nome, e sarei molto grata a chi me la insegnasse.
San Martino è una data dimenticata. In questo weekend mi sono svegliata pensando che un tempo, in cucina, ero molto più coraggiosa (giovane ed incosciente) ed il tempo mi ha cambiata... troppi pensieri, troppe riflessioni, troppe esitazioni. Che forse hanno compensato e mi hanno portato maggiore equilibrio, ma mi hanno fatto perdere un pò di spontaneità e di coraggio, in alcune cose.
Così ho preso gli ingredienti e ho impastato. E quest'anno è tornato San Martino.
Due modi di dire:
A San Martino ogni mosto è vino
A San Martino si tasta lu vinu
In questi giorni la vendemmia è finita ed il mosto si è trasformato in vino novello: molte cantine siciliane aprono le loro porte alla degustazione, e la città si riempie di vendite promozionali sul vino nuovo.
Il moscato è un vino liquoroso di origine medio-orientale dal profumo e dal sapore molto intenso. Il suo nome deriva dall'associazione col muschio (latino) e veniva prodotto dall'appassimento di uva molto zuccherina.
E' in vino ideale per questi dolcetti, sia per prepararli (bagna) sia per la versione friabile (tipo tricotti), che viene poi mangiata in inzuppo con questo liquore. E' sostituibile da altri vini liquorosi, ma questo è il sapore tipico che accompagna i sammartinelli.
Mi piace ultimamente riscoprire le antiche tradizioni della mia terra: la maternità mi ha fatto riscoprire il bisogno di essere legata ad un calendario antico, culturalmente religioso, religiosamente culturale.
La religione antica è la religione della vita: non so se definirlo proprio credo religioso, è in realtà una fede legata alla concretezza e non alla filosofia, è una devozione su cui si fonda la nostra quotidianità. E' fatta di stagioni che non riusciamo più a vedere, di date che non riusciamo più a ricordare.
Troppo lavoro, troppa fretta, troppo anonimato.
Le città sono troppo grandi e quel che rimane di alcuni gesti è solo l'edonistica voglia di mangiare cui segue la mano al portafogli per comprare. Vogliamo avere tutto e subito, e compriamo. Così insegniamo ai nostri figli che possiamo comprare tutto: un dolce, un passatempo, una felicità. Smarrendo però il senso di molte cose.
E' davvero difficile ricominciare. Io ci sto provando, ma sperimento tutta la fatica di tornare ai significati originari delle cose.
Mia figlia è ancora piccola, ma la rivoluzione comincia dalle piccole cose.
Intanto lavoro su me stessa. Apparentemente è quasi niente, è più una disposizione interiore che non qualcosa di visibile e appariscente (e però non è mica poco).
Però è un inizio: ricomincio a guardare il calendario, ché negli ultimi anni il tempo mi sfuggiva di mano, tra un periodo dell'anno e l'altro, e non sapevo nemmeno come. Ricomincio a guardare le stagioni, e ad accorgermi che esiste un autunno (per me sempre più difficile da guardare, rispetto ad altre stagioni), e forse anche una (perduta) mezza-stagione. Ricomincio a guardare quei pochi alberi che sono rimasti, e cosa si vende al mercato (che a ben guardare le specificità si trovano ancora).
Ricomincio dai sensi: guardare, odorare, sentire, toccare, gustare. Da un corpo dimenticato che può essere la nostra ri-voluzione.
I biscotti di San Martino ripieni da noi si chiamano raschi: non sono riuscita a trovare l'origine del nome, e sarei molto grata a chi me la insegnasse.
San Martino è una data dimenticata. In questo weekend mi sono svegliata pensando che un tempo, in cucina, ero molto più coraggiosa (giovane ed incosciente) ed il tempo mi ha cambiata... troppi pensieri, troppe riflessioni, troppe esitazioni. Che forse hanno compensato e mi hanno portato maggiore equilibrio, ma mi hanno fatto perdere un pò di spontaneità e di coraggio, in alcune cose.
Così ho preso gli ingredienti e ho impastato. E quest'anno è tornato San Martino.
Per 20 pezzi (circa)
- farina 00, 500g
- lievito di birra, 15g
- acqua, q.b all'assorbimento (200-250gr circa)
- zucchero semolato, 100g (anche un pò di più se vi piacciono più dolci)
- strutto, 60g o burro, 50g
- semi di anice, 1 cucchiaio
- cannella in polvere
- anice, 10 gocce oppure aroma in fialetta
- sale, q.b.
- acqua calda, 100g
- zucchero, 60g
- moscato, 30-40g
- ricotta di pecora, 400g (anche un pò di più)
- zucchero, 5 cucchiai
- moscato, q.b.
Preparazione della crema di ricotta.
La sera prima preparate la farcitura, che necessita di tempo per riposare e solidificarsi.
La ricotta dev'essere rigorosamente di pecora, e dovete lasciarla scolare finché non risulta asciutta e soda. Se necessario, eliminate il siero di scolo più volte. Quest'operazione è molto importante soprattutto se usate una ricotta non industriale, più ricca di siero.
Unite lo zucchero a vostro gusto: io stavolta ho usato quello semolato, ma è perfetto anche quello a velo. Non ne aggiungo molto perché non amo la crema troppo dolce.
Va mescolato con una forchetta o con una frusta in acciaio per mantenere una certa consistenza, oppure passato a setaccio (perfetto il passaverdura a fori larghi, come faceva la mia nonnina).
Unite un aroma: io ho usato qualche goccia di moscato, ma va bene anche cannella o scorza di limone.
Fate riposare in frigo, coperta, per qualche ora o per tutta la notte.
Ho seguito (più o meno) il procedimento che trovate qui, modificandolo secondo le mie esigenze.
Fate sciogliere il lievito di birra in un poco d’acqua tiepida.
Mettete la farina e lo zucchero nella planetaria o in una ciotola; versate al centro i semi di anice, la cannella e il burro a piccoli pezzi.
Versate al centro il lievito e l’acqua in cui l’avete fatto sciogliere, e impastate il tutto a bassa velocità aggiungendo acqua a filo molto lentamente, aspettando che la assorba tutta prima di aggiungerne altra. Ne ho aggiunto un bicchiere scarso, ma la quantità varia in base al tipo di farina.
L'impasto deve risultare compatto ed elastico, liscio ed omogeneo, della consistenza di una pasta da pane.Ci vorrano 15-20 minuti ad incordarlo.
Lavorate bene l’impasto e ponetelo in un cotenitore appena unto, stretto e lungo, fino al suo raddoppio o poco più.
Quindi dividetelo a bastoncini, lunghi circa 8-10 centimetri, che ripiegherete su se stessi, ottenendo così delle chiocciole.
Quindi dividetelo a bastoncini, lunghi circa 8-10 centimetri, che ripiegherete su se stessi, ottenendo così delle chiocciole.
Io ho fatto così: ho preso il bastoncino e l'ho arrotolato su due dita (indice e medio) della mano sinistra mentre con la destra formavo una chiocciola.
Imburrate una placca da forno o rivestitela di cartaforno e disponetevi le "ciambelline" ben distanziate tra loro. Mettetele in un luogo tiepido, copritele con un canovaccio e lasciatele lievitare. Io le ho lasciate 2 ore abbondanti, alcuni dicono fino a 4 ore (prova da fare).
Fateli cuocere nel forno , precedentemente riscaldato a 250°, per 20 minuti circa, tirateli fuori quando saranno dorati e morbidi al tatto, (fate attenzione a non farli diventare scuri e quindi troppo cotti).
Metteteli su una gratella e lasciateli raffreddare.
Farcitura.
Prendete i biscotti, tagliate la calotta superiore, e con l’aiuto di un cucchiaino scavate leggermente all’interno del biscotto, con molta delicatezza in modo da formare una piccola cavità. In alcuni io non l'ho fatto e li ho lasciati così.
Versate il moscato in una ciotola, diluitelo con l’acqua calda e lo zucchero, e con un cucchiaino inzuppate generosamente i biscotti.
Ora prendete un pennello e bagnate la calotta superiore e la superficie esterna di ogni biscotto.
Riempite i biscotti con la crema di ricotta che avete preparato precedentemente (che ora sarà rassodata), posizionate sopra ogni biscotto la propria calotta, spolverizzate i raschi di zucchero al velo, metteteli su un piatto da portata.
Mettete della cannella in polvere in un piccolo cono ottenuto con la cartaforno, e fate una riga di decorazione su ogni calotta.
Fate riposare qualche ora (anche una notte intera) e servite freddi.
Postilla del giorno dopo:
ho fatto uno sciroppo denso con acqua e zucchero e con un pennello li ho spennellati esternamente, per farli venire lucidi come si vedono in foto.
Sono decisamente più buoni dopo aver riposato, i sapori sono più amalgamati.
Versione "tricotto".
Se volete ottenere la versione "dura" (non farcita, che si usa per inzupparli nel moscato), procedete così:
- infornateli nel forno preriscaldato a 200° per circa 15 minuti.
- Sfornateli, fateli raffreddare e metteteli di nuovo in forno a 160° per altri 15 minuti.
- Lasciateli raffreddare ancora una volta e rimetteteli in forno, con lo sportello semiaperto, a 150° per 10/15 minuti, stando attenti che non diventino troppo scuri.
Versione decorata
Libero arbitrio alla fantasia.
Si prepara la versione morbida (rasco).
Il foro viene praticato nella parte inferiore, vengono svuotati da sotto, e vengono farciti con marmellata (tradizionalmente di cedro). La superficie si decora con glassa di zucchero bianca o colorata in colori pastello, e disegni in rilievo ottenuti sempre con la glassa. Si termina con un cioccolatino o una caramella "incollati" al centro.
Mamma che belli!!!! Li provo sicuramente... ;)
RispondiEliminaVevi :)
Sono perfetti ed io non posso che farti i miei complimenti!!
RispondiEliminaGolosissimi i sammartinelli alla ricotta *_*
Tiziana
che belli! Sai che ti dico? che siccome qui dame non si usano, mi sa che farò i tuoi e li mangio lo stesso :)
RispondiEliminaRagazze, mi emozionate!
RispondiEliminaLuna, tesoro, te li farei assaggiare io, ma oltretutto sono già finiti...
La prossima volta comunque ne impasto di più!
Rimango ammirata da cotanto lavoro!
RispondiEliminaP.s. complimenti per il bellissimo post, oltre che per la ricetta meravigliosa!
Già il primo tentativo visto su FB era meraviglioso, ma i raschi del giorno dopo sono mitici, sono identici all'originale \*O*/!!!
RispondiEliminaE non posso non concordare con te quando dici che la rivoluzione si fa partendo dalle piccole cose, perchè corriamo troppo e spesso ignoriamo dettagli importanti per la qualità della nostra vita.
Un bacione :*
Signora "Fantasie", detto da lei mi onora :-)
RispondiEliminaGrazie del bel commento Julie, lo apprezzo molto.
ma sono meravigliosi!!!!!complimenti!
RispondiEliminaIn Sicilia orientale non li prepariamo....un motivo in più per fare una passeggiata a Palermo ;-)
RispondiEliminaLella, se decidi di venire avvisami! Magari ci si organizza...
RispondiEliminaFantastici e originali.
RispondiEliminaMandi
oh mamma che spettacolo!! sono assolutamente perfetti!
RispondiEliminali ho visti nascere, ti rinnovo i complimenti...baci.
RispondiEliminaciao, grazie per la visita! sono basita: com'è che non ti conoscevo? hai un blog goloso e bellissime foto! sei davvero brava, ora ti seguo :)) buona serata :))
RispondiEliminafantastica ricetta! annotata!
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