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giovedì 2 marzo 2017

Allium triquetrum: io, folle, scommetto.

Allium triquetrum, famiglia Amaryllidaceae, genere Allium, specie Triquetrum, nome comune: aglio selvatico o aglio angolare. Specie commestibile officinale.

allium  

Circa un anno fa ho fatto un corso che ha cambiato molte cose nella mia vita.
Mi ha insegnato a riconoscere alcune piante, poche rispetto a quanto vorrei e dovrei, ma tante rispetto al poco che sapevo.

Questo corso ha cambiato la mia #vitaSuiMonti avvalorando le mie idee sull'importanza della tutela della biodiversità.
Ha "iniziato" mio marito al magico mondo della botanica. Ci ha unito in una passione che non sapevamo di avere così forte e in comune.
Certo, è il caso di dirlo, nulla attecchisce se il substrato non è quello adatto: eravamo pronti ad aprirci a questo, e per quanto la nostra ignoranza sia ancora sconfinata, eravamo desiderosi di prendere questa direzione.
Adesso ci sentiamo come quelli che "eravamo ciechi, adesso ci vediamo".

A quel corso ci furono mostrate alcune piante dal vivo a scopo esemplificativo per impararne il riconoscimento. Io (che da allora nutro un'insana passione per le liliacee) non sono riuscita a tollerare l'idea che quelle piante giacessero sul tavolo, "esangui", e a fine corso fossero semplicemente buttate via.

Ho portato con me alcune di loro nella speranza di farle "allivisciri" ( come diceva mia nonna di piante un po' mosce e bisognose di acqua per tornare in sesto).
Alcune erano annuali e dopo essere attecchite hanno terminato il loro ciclo di vita. Altre, come queste bulbose, mi allietano ancora con la loro compagnia.

Aglio selvatico  (così comune, banale, chi mai salverebbe un aglio con amore? È solo un allium!), semplice ma bellissimo.
Sparito in estate, riapparso in inverno, ora pronto a regalarmi un'altra fioritura. Non è stato strappato invano, spero.

Nella mia vita molte cose vanno così: scommetto laddove gli altri non vedono nulla.
"Ma io non vedo nulla, su cosa scommetti?"
È quel niente che, quando fiorisce, mi fa sentire la persona più ricca dell'universo: l'essenziale è invisibile agli occhi.
Abbiate cura, quindi, delle cose in cui scegliete di riporre speranze e valori.



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© Melazenzero. Immagini e contenuti sono protetti da copyright. Si prega di non utilizzare le immagini senza previa autorizzazione. Se si vuole ripubblicare questa ricetta o i concetti espressi nella descrizione, si prega di ri-scrivere la ricetta con parole proprie, e porre sempre e comunque un link a questo post per la ricetta.
Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.

lunedì 4 luglio 2016

La cottura anti-aderente: due alternative al teflon

Non so voi, ma io ho sentito parlare molto dei pericoli del Teflon (il rivestimento delle pentole antiaderenti). Certo, sono convenienti, pesano quasi nulla, e non richiedono preparazione o pre-trattamento. Ma queste pentole possono causare gravi danni se non trattate adeguatamente. 



Pare che il surriscaldamente del teflon, anche per pochi minuti, sia in grado di rilasciare sostanze tossiche che influiscono negativamente non solo sulla salute delle persone, ma anche degli animali da compagnia (non solo per ingestione, quindi).

Il teflon è un rivestimento pratico, ma rischioso quando si usura o non si adopera correttamente (danneggiamenti da urto o contatto).

Ma quali le alternative?
Personalmente ne preferisco due, la ghisa e la ceramica.


La ghisa è perfetta per reggere le alte temperature, vi permette di raggiungere una meravigliosa reazione di Maillard, che è quella che determina le strisce sulla vostra bistecca o la gustosa crosticina sui cibi, tanto per intenderci.

Si può utilizzare sia sui fuochi (compreso il barbecue, per noi determinante) che nel forno, quindi è ottima per le cotture miste.

Si lava anche senza detersivo: si usa semplicemente acqua bollente e una spugna abbrasiva (noi lo spazzolone, molto più comodo).

La maggior parte delle padelle in ghisa sono pre-trattate, quindi non avrete bisogno di fare nulla prima di utilizzarle, ma abbiate cura di ungerla con un tovagliolo imbevuto di olio d'oliva prima di ogni utilizzo.

La ceramica ultimamente è andata molto di moda. Nella grande diffusione ho incontrato ottimi prodotti ed altri che lasciano davvero molto a desiderare. Non amo la ceramica nelle padelle, ma la trovo perfetta per i tegami. A mio parere richiede un velo di olio prima dell'utilizzo perché i cibi non si attacchino completamente se asciutti come una bistecao una frittata (non così invece per i cibi umidi).

Non tutte le pentole in ceramica sono utilizzabili in forno o sui fuochi, sia per le parti combustibili (manici) che per la resistenza alle alte temperature. Controllate le istruzioni d'uso.

Ho trovato comodo utilizzare la padella in ceramica per cuocere cibi senza grassi mettendo sul fondo un foglietto di cartaforno.

Le nostre nonne non disponevano degli utensili che abbiamo oggi, eppure le loro vecchie pentole sono fantastiche (beato chi ne trova una, anche nei mercati dell'usato!)
Mia madre ha messo via una batteria di pentole in ghisa e ceramica che oggi costerebbe una fortuna e che ha una resa imbattile nella cottura.

Negli ultimi decenni le pentole si sono trasformate nell'intento di darci prodotti più fruibili e che ci semplifichino la vita, ma come spesso avviene, questo si paga al prezzo della nostra salute e di materiali più rischiosi per noi e per l'ambiente.
Questo articolo è liberamente tradotto da The Hearty Soul.

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giovedì 11 febbraio 2016

Cacao: quando è il corpo che te lo chiede

Donne e cioccolato: binomio arcinoto, soprattutto in alcuni giorni del mese. Sapete perché?

immagine: food.detik.com tramite google immagini

In questi giorni ho l'umore in fase decisamente calante. Non è un problema per me, in questa fase della vita in cui ho imparato ad apprezzare ogni momento come necessario al naturale ritmo delle cose. Non ho particolari motivi da addurre, se non i miei ormoni e le giornate un po' grigie.
Entrambi i fattori (tenendo in considerazione la luce solare) sono infatti determinanti sul tono dell'umore.

Di questo mi va di chiacchierare:
     di serotonina, triptofano e cacao.

Molto, in verità, è racchiuso in questa immagine:


Ciascuno di noi ha degli ormoni direttamente connessi all’esperienza di piacere. Le endorfine sono naturali soppressori del dolore nel cervello, insieme a serotonina, ossitocina e dopamina.
Queste molecole specializzate traducono pensieri ed emozioni in forma chimica, permettendogli di comunicare - attraverso una complessa rete di interazioni- al resto del corpo.

Se siamo abitualmente sintonizzati con i bisogni reali e concreti del nostro corpo, sentire all'improvviso il bisogno di mangiare noci e cacao (non ho detto cioccolato, ho detto cacao!) non è sicuramente un pensiero da mettere a tacere dietro un muro di rimproveri e sensi di colpa.
Ci hanno insegnato a pensare al cibo in termini cognitivi, invece che esperienziali, e così diventa più difficile seguire un reale bisogno dettato dalla consapevolezza corporea.


Nell'arco del mese il livello di serotonina in una donna può variare notevolmente.

Il nostro corpo produce serotonina a partire dal triptofano, una sostanza contenuta in molti degli alimenti della figura sopra.
Quando andiamo in deficit rispetto ad alcuni nutrienti, il nostro corpo reclama. Quello che purtroppo succede è che la nostra mente, educata principalmente ad un regime punitivo conta-calorie, non ci porta in modo naturale verso gli alimenti riconosciuti "buoni" in questi giorni.
Ovviamente tutto questo discorso per dirvi che esistono quantità e tipologie di cibo che non solo non intaccano la linea (anche se la vostra amica continuerà a urlarvi "sei pazza??!) ma vi aiuteranno persino a sentirvi meglio.

Cacao: ne esitono moltissimi in commercio definiti "magri" (per definizione è magro un cacao in polvere che contiene meno del 20% di burro di cacao). Io ne ho trovato uno che mi soddisfa tantissimo, e che è a meno dell'1% di grassi. Non è vero che non ha sapore (ma non continene zuccheri) ed è una preziosa aggiunta a molti piatti, tanto che ormai lo uso persino nelle comuni preparazioni di famiglia. Il suo sapore è più intenso del cacao commerciale. Il suo potere nutritivo (ma non ingrassante!) è elevatissimo: magnesio, calcio, ferro, polifenoli.
Sceglietene uno magro, e concedetevelo senza sensi di colpa.

"In quei giorni", mangiate in modo regolare, prediligendo il pesce e i cibi ricchi di Omega3, preventivi per i dolori addominali.

So che è dura, ma cercate di camminare molto: il movimento stimola il buon umore, e l'esposizione alla luce migliora il lievello ormonale.

Usate cereali integrali e zuccheri non raffinati: non è solo una moda quella di credere che influiscono beneficamente sulla nostra salute, soprattutto in casi come quelli di cui abbiamo parlato oggi.


   Il mio rimedio lampo quando mi sento giù:

Io aggiungo un paio di cucchiaini di cacao amaro allo yogurt che preferisco, unendo poi due o tre noci spezzettate (o mandorle), e questo già basta. Se necessario, ripeto la dose nel pomeriggio.

Vi lascio però un dolce suggerimento -light- adatto alla questione.

PER ALTRE RICETTE AL CACAO CLICCA QUI.

torta cacao e nocciole

ingredienti

Per la tortina (diametro 20 stampo alto)
  • farina integrale bio, gr 218
  • cacao amaro di primissima qualità, 98gr
  • zucchero semolato integrale, 262 gr
  • olio di semi, 45 gr
  • latte di soia alla vaniglia, 262gr
  • un pizzico di cannella in polvere
  • lievito per dolci vanigliato, 1 busta 
  • la scorza di una piccola arancia non trattata
preparazione

In una ciotola setacciare la farina ed il lievito.
Unire lo zucchero, il cacao, la cannella.
Mescolare a parte il latte di soia e l'olio.
Versate a filo sulle polveri e mescolate piano stando attenti a non formare grumi.
Versare nello stampo imburrato e infornare a 160°-170° per 30-35 minuti (vale la prova stecchino).
Lasciar raffreddare nello stampo per 10 minuti poi sfornare su una gratella e lasciar raffreddare completamente.
Cospargete con crema spalmabile e granella, oppure mangiatela così. Ottima anche in stampini monoporzione.


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lunedì 23 marzo 2015

#iLoveMe: la strada per la felicità

La felicità, come sappiamo, non è una meta ma un viaggio.
Per essere felici basta poco, un poco che talvolta può sembrare tanto.



Essere felici è essere consapevoli: essere in costante ascolto attivo di ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Quando impari ad ascoltare la voce del cuore (o della mente, o dell'anima), immediatamente tutto diventa chiaro.

Ma la voce del cuore è spesso flebile e confusa, sopraffatta da tutte le etichette, i pregiudizi, i condizionamenti esterni coi quali siamo cresciuti. Tuttavia, quando l'ago della bilancia è dentro di te, le cose sono più semplici, e la felicità diventa a portata di mano.

Il primo passo è quindi mettersi in ascolto.
Non servono regole, né scuole, per questo, perché ciò che ti serve è un messaggio che arriva da dentro. Non importa quanto tempo sarà necessario per realizzarlo, la felicità nel farlo inizia da subito.

Abbiamo un corpo saggio che merita di essere trattato bene.
Cibi sani e nutrienti, il movimento più vicino alle nostre esigenze, un sonno che ristora, l'interesse per le piccole cose, un pizzico di passione tra le nostre attività, un po' di tempo con gli amici, due o tre passi nella natura ogni giorno, un momento di silenzio che ci riconcili col mondo.
Scegli da dove cominciare. Scegli il meglio per te.
Su Facebook, seguimi con l'hashtag #iLoveMe.
Tutti possiamo essere d'ispirazione per gli altri: e tu, cosa farai oggi per volerti bene?


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venerdì 27 febbraio 2015

Lo sport che cura il corpo e la mente: i miei consigli per iniziare

L'attività fisica è indispensabile per la nostra salute, non solo per la nostra silouhette. A volte iniziare da zero è difficile, ma è un regalo importante che facciamo al nostro corpo ma soprattutto alla nostra mente. Allenarsi sviluppa endorfine, e migliora metabolismo e umore per molte ore che seguono il nostro allenamento.

trovata su kalenji-running.com/it


Sono mesi di pioggia battente, nella bella Sicilia. Tra le scuse che da quando è iniziato l'inverno  inventavo a me stessa per giustificare la mia mancanza di allenamento fisico, la pioggia la faceva da padrona. Domenica scorsa (giorno di pioggia incessante, manco a dirlo!) ho detto "io ricomincio: che può succedermi? Mi verrà una febbre o un raffreddore? Poi passeranno e tornerò ad allenarmi con un sistema immunitario migliore".

Dall'inizio di questa settimana ho ricominciato a correre. Sì, a correre.
Non lo avrei mai pensato, eppure è successo: credevo che le camminate veloci sarebbero durate parecchio, dato il lungo periodo di fermo dagli allenamenti (sei mesi).

E invece, già al primo giorno sentivo la voglia prudere sotto le gambe smaniose di correre (ma ho troppa paura dei miei problemi ortopedici e articolari).
Al secondo giorno correvo 15 minuti di fila, al diavolo le articolazioni (si fa per dire)!
Al terzo giorno ero già a trenta minuti.
Ho corso sotto la pioggia, lentamente ma con una felicità enorme.

Non sono del tutto sicura che il mio ragionamento sul raffreddore sia proprio così, ma quel che importa è la mia convinzione nel credere che la pioggia non può farmi alcun male. A volte i "contenuti" esterni sono solo la parte più insignificante che testimonia invece percorsi mentali ben più significativi.

Sarà la volta buona? Ricadrò in stanchezze, fallimenti, rinunce? Chi può saperlo, il domani deve ancora venire. Se c'è una lezione che ho imparato da questi ultimi sei mesi di mancato allenamento (e tanto altro di poco felice) è che non bisogna mai considerarsi "arrivati".
Quel che conta è l'Oggi: oggi sono di nuovo on-the-road, e questo è importante.

Mentre corro il cervello mi va a mille: è come se si creassero infinite connessioni neuronali che mi portano idee fresche e nuove. Alcune sono riflessioni profonde, altre sono ispirazioni appena accennate, ma tanto benefiche.
Sarà che da tempo pratico uno sport che unisce l'attività fisica alla meditazione, una sorta di consapevolezza (mindfullness) unita al movimento sportivo.
E così la forza muscolare si allena insieme a quella della mente.

La corsa, o la camminata, o la marcia veloce (fitwalking per alcuni) sta attirando tantissima gente, perché è uno sport alla portata di tutti, facile ed economico, e si può praticare in tutte le condizioni.

Essendo ormai una veterana di questo esercizio, ecco i miei consigli sull'argomento.

  • Trova il momento migliore nella tua giornata per praticare esercizio fisico, e se possibile mantieni lo stesso orario di allenamento.Io corro al mattino, perché i miei impegni me lo consentono e perché per me è il momento di migliore energia fisica.

  • Bevo abbondantemente ma fino a un'ora prima del mio allenamento: correre con lo stomaco pieno, o peggio ancora con la vescica pressante, riduce di molto le mie prestazioni (questo non significa cercare delle performance migliori ma anche un senso di benessere indispensabile ad ottenere il massimo del beneficio dall'allenamento).

  • Entro tre ore dall'allenamento non mangio cibo grasso o latticini: prediligo cibi naturali, freschi, e di origine vegetale.

  • È importante procedere gradualmente, e concentrarsi non sull'obiettivo finale ma sull'allenamento odierno. Questo significa che quando ricomincio lo faccio con una passeggiata, o una camminata, o una marcia, aumentando pochi minuti a settimana perché l'impatto sia graduale.

  • Ascolto il mio corpo: contrariamente a quello che ogni coach vi dirà, non seguo un programma pre-definito. Per ogni sessione, lascio che sia il mio dialogo interiore a guidarmi verso il mio allenamento migliore. Cerco di muovermi all'interno delle mie oscillazioni tentando di migliorare nel modo giusto la mia curva di allenamento. Ci saranno giorni in cui ho più energia, momenti in cui ho bisogno di rallentare: questa è la vita, questo è il modo di allenare il mio dialogo corpo-mente, e che sarà il vero risultato definitivo che porterò con me nelle altre attività di ogni giorno. Abbi cura di te oggi, se vuoi tornare ad allenarti domani.

  • Sto molto attenta al mio abbigliamento: banale? Ma non scontato. "Camminatori" non ci si improvvisa. Cominciando da scarpe tecniche indispensabili a prevenire dolori e infortuni (che mi metterebbero in convalescenza dopo pochi giorni), faccio della temperatura corporea una mia alleata. Se fa freddo mi copro di più, se fa caldo mi scopro, scelgo materiali traspiranti per una termoregolazione costante e ideale. Non porto mai pesi con me: niente tracolle, borsellini, né altri accessori legati a qualsiasi parte del corpo. Niente acqua o borsellini. Anche un piccolo peso modifica l'equilibrio e la postura e alla lunga causa dolori e infiammazioni (le chiavi sono ridotte al minimo, non un intero mazzo!).

  • Quando ho troppo caldo (per me raramente, ma siamo ancora in inverno, rallento: i capogiri possono essere pericolosi. Respirare profondamente aiuta a ripristinare il normale battito cardiaco.
Per concludere:  non importa quanto corri, importa che tu oggi corra. Il segreto di iniziare un'attività fisica quando non si è allenati è non pensare in grande (e non fare confronti!) per non scoraggiarsi: ogni minuto di allenamento sarà prezioso e sarà meglio di un minuto passato ad oziare sul divano.


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giovedì 12 febbraio 2015

Come fare un fritto asciutto: i dolci di carnevale

Carnevale è tempo di fritture, lungo tutto lo stivale. Se c'è un momento in cui è lecito "esagerare" e concedersi strappi alle regole, è proprio questo. Ma la frittura, se fatta male, è quanto di peggio si possa desiderare. Vediamo insieme quali sono le regole imprescindibili per una buona frittura.

Ciambelle sofficissime senza patate


Cominciamo da cosa succede quando immergiamo un cibo in olio bollente: si produce uno shock termico che cuoce rapidamente la superficie esterna provocando la cosidetta reazione di Maillard.
  • utilizzate un olio di buona qualità e che ben sopporti le alte temperature: sì all'olio di semi, meglio se di girasole, no all'olio di semi misti che ha temperature di fusione diverse; va bene anche l'olio d'oliva, ma tenete conto che dà ai fritti un sapore più marcato.
Sapete cos'è il punto di fumo? È la temperatura alla quale le catene di trigliceridi che compongono l'olio si scompongono trasformandosi in altre sostanze. Alcune di queste, maggiormente negli olii sensibili al calore, sono molto nocive per il nostro fegato. Ecco perché scegliere un olio adatto è molto importante, non è solo una questione di gusto.
[confronta Albanesi e Bressanini]
  • La quantità di olio deve ricoprire completamente il cibo che friggete: non potete usarne di meno senza compromettere l'omogeneità della cottura.
Cibo cotto in modo disomogeneo avrà colore e consistenza sgradevole, e presenterà parte della superficie in cui assorbirà maggiormente l'olio. Controllate che ogni parte del cibo sia quindi immersa nell'olio e scegliete per questo una pentola che abbia sufficiente diametro e livello dell'olio tale da non avere un livello troppo basso ("cottura in olio profondo").
  • La temperatura corretta si aggira sui 180°; se non avete un termometro, usate un pizzico di farina o una mollica di impasto per tuffarlo in olio e controllare se sfrigola prima di iniziare a friggere. 
A temperature troppo basse il cibo assorbirà troppo olio e/o resterà crudo al cuore, a temperature troppo alte si brucerà all'esterno e non si cuocerà abbastanza all'interno.
  • Se non sfrigola, aspettate: l'impatto del cibo con l'olio bollente forma la crosticina che permette a ciò che cucinate di impermeabilizzarsi all'olio, e quindi di non inzupparsi. E' questo il segreto di una frittura asciutta!
  • Per mantenere la temperatura dell'olio alta e costante, non immergete mai troppo cibo nel vostro tegame: ogni elemento assorbe calore e abbassa la temperatura, con il risultato descritto sopra. 
Controllate la vostra temperatura man mano che friggete, ogni volta, e friggete sempre pochi pezzi per volta.
  • Diamo per scontato che non utilizziate più volte l'olio di cottura.
    Oltre che nuocere gravemente alla salute, il riutilizzo dell'olio ne abbassa il punto di fumo, producendo i danni epatici accennati sopra.
Ed ecco un po' di ricette dolci, firmate Melazenzero, con cui cimentarvi nella frittura!
Ciambelle sofficissime senza patate

strufuli al miele  


castagnole

chiacchiere di carnevale

casatelle fritte

sfince di san giuseppe

cannolo siciliano

palline fritte dolci allo yogurt



Altre ricette sono reperibili sotto l'etichetta "carnevale" o in giro per il blog.
Enjoy!


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sabato 24 gennaio 2015

Le ricette su facebook e i gruppi di cucina: opinioni personali

"Mi dai la ricetta per favore?"
Una riflessione sul fenomeno dei gruppi di cucina su facebook.
© Melazenzero. Contenuti personali protetti da copyright. Si prega di non utilizzare senza autorizzazione.

foto: sinapsi.unina.it 


Ogni tanto mi concendo un post diverso dal solito, uno senza ricetta, un post dove esprimere i miei pensieri liberamente, dato che questo è uno spazio mio, e dove potermi dilungare in opinioni personali.

Come molti sanno, di professione sono un'osservatrice. Come spesso capita, la tua professione ti automatizza competenze che finisci con l'applicare a diversi ambiti della vita quotidiana. Così, se sei un pianista sarai presumibilmente abile nei movimenti fini delle dita, se sei un osservatore noterai certe cose che rimbalzeranno nel tuo cervello più e più volte.

Verrò al dunque. Avete presente i tanti gruppi di facebook che nascono per riunire gente sotto l'interesse della cucina, declinato in ogni sua possibile specificità?
Ci sono gruppi sulla pasticceria, sulla panificazione, sulla cucina regionale, sulle intolleranze, sulla cucina al coltello, su chi cucina con una mano sola, su chi lo fa bendato, su chi cucina solo ricette di un autore, di uno chef, con un ingrediente... potrei continuare all'infinito.

È doveroso che io dichiari che non ho nulla contro i gruppi, anzi, mi piacciono assai.
Personalmente ritengo che alcuni siano più utili di altri, ma questo potrebbe essere vero solo a giudicare dal titolo, o solo per me. Ogni giorno nascono nuovi gruppi di cui ci si potrebbe chiedere quale sia la pubblica utilità, ma questa affermazione non è del tutto vera.

Un gruppo nasce innanzitutto con lo scopo di aggregare le persone. Lo fa sotto l'egida di un tema, dunque quelle persone hanno (o quantomeno dovrebbero avere) delle aspettative condivise riguardo a ciò di cui discuteranno dentro quel gruppo.
Molti gruppi hanno anche un regolamento esplicito su come fare per interagire all'interno di esso in modo ordinato.
Fin qui non c'è nulla di diverso dai gruppi della "vita vera".

È risaputo, ad esempio, che i gruppi nascono con uno scopo, si fondano sullo scambio, non possono prescindere dalla costituzione di ruoli, hanno delle regole, e ciascun membro ha bisogno dell'altro perché il gruppo possa esistere.

Ma alcune persone stanno bene dentro un gruppo più che dentro un altro semplicemente perché un gruppo è fatto da persone, e le persone interagiscono attraverso relazioni. Anche se online, le relazioni sono fatte dal modo in cui le persone si comportano.

Perché nascono i gruppi?
Il bisogno di incontrarsi in gruppo è sempre esistito negli individui: l'uomo è un animale sociale. Da quando nasce a quando muore passa la sua esistenza nell'appartenenza a gruppi (persino suo malgrado), dalla famiglia alla comunità locale in cui vive, passando attraverso gruppi di lavoro, di formazione, ricreativi. C'è una continuità storica nella necessità di ogni essere di esprimere se stessi e il proprio pensiero all'interno di un gruppo.

Come appartenente a svariate pagine facebook sul tema della cucina, da tempo osservo mio malgrado il comportamento di chi "abita" i gruppi (da chi li costituisce, a chi li amministra, a chi li frequenta).
Resto sempre sorpresa dalla cordialità, dalle insofferenze, dalle invidie, dalle gelosie, dai comportamenti intransigenti, dalle rigidità, dalle ingenuità.
Mi diverto ad osservare come si creino "caste", personaggi preferiti, vincoli di fedeltà e di tradimento.
Facebook è come la vita guardata col cannocchiale. Mi colpiscono molto fenomeni che si ripropongono, e mi piace osservare il ciclo di vita di un gruppo facebook, che tanto somiglia a quello dei gruppi sociali nella vita reale (ampiamente teorizzato, osservato e codificato dalla letteratura scientifica).

Il ciclo delinea la crescita del gruppo e si rappresenta graficamente come una "curva di distribuzione normale" che lo descrive dalla nascita, alla maturità (il suo apice), al suo declino (che è semplicemente il momento in cui il gruppo avrà raggiunto i suoi scopi e i suoi obiettivi).

foto: lorenzoazzalini.it 


Ma torniamo a noi.
L'idea di questo post è nata osservando, da foodblogger, chi pubblica le foto delle proprie preparazioni nei suddetti gruppi.

{pubblicare (ant. o letter. publicare) v. tr. [dal lat. publicare, der. di publĭcus «pubblico1»] (io pùbblico, tu pùbblichi, ecc.). – 1. Rendere pubblico, cioè noto a tutti, far conoscere pubblicamente, divulgare} (Treccani, vocabolario online).

Descrivo brevemente la situazione per i non addetti ai lavori: un iscritto scatta una foto del proprio "piatto", la mette nel gruppo e va via.
Chi legge la ricetta scrive quasi tempestivamente nei commenti: "RICETTA!" (che tradotto significa "mi puoi dare la ricetta per favore?"). Dopo il precursore, altri fanno seguito con la medesima parola/richiesta.

A questo punto l'autore della foto può rispondere con la acclamata ricetta (avrà creato l'effetto-suspance?), e dopo di lui altri commentatori -puoi scommetterci- seguiranno con la medesima richiesta ("RICETTA, per favore"). [Sì, anche se l'aveva già scritta].

Adesso viene la parte interessante: a volte l'autore della foto non vuole dare la ricetta.
(Qui si apre un ventaglio infinito di possibilità di cui descriverò solo un paio di casi).
  • Situazione 1): Nel migliore dei casi la ricetta è dell'autore del gruppo.
Come è ovvio, tu che stai leggendo devi andare a recuperartela dal suo blog/sito (e fin qui mi pare tutto normale, dato che quel gruppo si riunisce sotto il nome di quella persona/libro/sito).
Ci sono iscritti che chiedono senza fare nemmeno la fatica di andare a controllare dove le preparazioni potrebbero trovarsi.

  • Situazione 2): l'autore della foto sparisce senza voler dare notizie della ricetta (ma se è tanto preziosa perché sollevare la curiosità dei lettori?!?).

  • Situazione 3): l'autore della foto dichiara che non può inserire la ricetta perché presa da un altro gruppo, da un altro autore, da una rivista, etc.
È a questo punto che tra i miei due miseri neuroni scatta unanime la domanda: PERCHE'?!?
C'è un valido motivo che ti porta a pubblicare la foto di una preparazione su un gruppo che discute di ricette (appunto) senza che tu possa poi condividerne la ricetta stessa?
Vuoi che gli altri guardino (voyeurismo culinario?), che ti dicano "bravo" e basta (narcisismo?), o ... ? Illuminatemi, vi prego.

foto: proceritasport.net


Ho imparato che gli esseri umani si differenziano tra loro nelle più incantevoli declinazioni, e quindi mille risposte potranno esistere alla mia domanda. Ciononostante, non posso fare a meno di notare a quanto assurdo certe volte possa essere questo comportamento.
Immagino ci si iscriva a un gruppo per la voglia di condividere, ma anche per la voglia di "assorbire" il più possibile, di trascrivere compulsivamente le ricette degli altri (anche guidati dalla più zelante voglia di imparare), di discutere le ricette per capire, o semplicemente ci si iscrive per farsi pubblicità (come nel caso in cui si condividono i post del proprio blog in modo da attirare pubblico).

Ognuno di noi, nella sua "carriera online"(chiamalelo "ciclo di vita" se volete), passa attraverso varie fasi, i cui estremi vanno dall'introiezione (di contenuti, ricette, saperi, tecniche) passando attraverso la voglia di condividere, fino al desiderio di esporsi, in alcuni casi primeggiare, in altri essere leader (anche del proprio orticello, va benissimo).

La personalità, anche se i mezzi digitali la amputano di alcune parti fondamentali, la fa da padrone nel nostro comportamento, esattamente come nella "vita reale". I nostri vissuti, i nostri bisogni, le nostre frustrazioni, le nostre aspirazioni, tutto quanto c'è di più bello e di più sofferto nella nostra vita, finisce inevitabilmente per riversarsi sul modo in cui ci comportiamo online (anche se diverso dal modo in cui ci comportiamo offline).

Mi astengo qui dal discutere cosa avviene nei cosiddetti "vertici di potere", quando si parla di amministrazione di un gruppo o da cosa spinge alcune persone ad aprire il proprio gruppo personale.

Sono consapevole del fatto che questo è un articolo banale, su un blog poco notato, che si perde nell'universo della conoscenza in rete. Ma se hai letto fin qui, e hai voglia di esprimere la tua opinione, sentiti libero di farlo. Grazie per essere stato ad ascoltarmi.

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mercoledì 29 ottobre 2014

Coscia di maiale alla salvia con zucca e mele: l'autunno.

Un secondo piatto autunnale molto elegante e saporito, ma anche ricco di buoni nutrienti. Zucca, mele e profumi dell'orto.

Maiale alla salvia con zucca e mele

Solitamente tengo le cose troppo personali lontano dal blog, e così farò anche questa volta. Ma è difficile non raccontare che questo autunno sarà un po' triste per noi.
La nostra famiglia (allargata) è diventata un po' più piccola. Sono cose della vita, e il tempo lenirà la tristezza, ma nel presente cerchiamo di curare il dispiacere per ciò che non c'è più.

Penso sempre all'autunno come alla stagione che ci insegna che le cose finiscono. Abbiamo bisogno di questa lezione per andare avanti e comprendere il senso del cerchio della vita.
Provo a riportare questo nella mia vita di ogni giorno, nel mio modo di mangiare, nel mio modo di pensare alla felicità. Abbiamo bisogno di finire, e poi ricominciare. E di avere fiducia nel tempo.

Maiale alla salvia con zucca e mele

ingredienti

Per tre persone
  • 500 g di coscia di maiale a fettine 
  • una cipolla grande 
  •  un mazzetto di salvia 
  • 2 mele non troppo dolci 
  • 200 g di polpa di zucca sbucciata 
  • olio e.v. d'oliva 
  • sale, pepe 
  • aceto balsamico
preparazione

Sbucciate la cipolla e tritatela molto sottilmente.

Scaldate un po' d'olio in una padella grande e alta, uite la cipolla e cominciate a farla ammorbidire.

Sbucciate le mele e tagliatele a tocchetti regolari; riducete la zucca a dadi di uguale misura.

Unite alla cipolla i dadi di zucca, le foglie di salvia e le mele; salate, coprite la padella con un coperchio (se rilascia troppo liquido potete togliere il coperchio), abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura.

Quando la zucca  sarà a media cottura, prendete un'altra padella, asciugate le fette di carne con un tovagliolo e rosolatele velocemente senza alcun condimento.

Quindi, unite la carne al tegame di verdure, irrorate con l'aceto balsamico e lasciatelo evaporare leggermente.

Togliete la preparazione dal fuoco e insaporitela con una macinata abbondante di pepe.


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© Melazenzero. Immagini e contenuti sono protetti da copyright. Si prega di non utilizzare le immagini senza previa autorizzazione. Se si vuole ripubblicare questa ricetta o i concetti espressi nella descrizione, si prega di ri-scrivere la ricetta con parole proprie, e porre sempre e comunque un link a questo post per la ricetta.

lunedì 10 febbraio 2014

Ciambelle fritte sofficissime, senza patate (come fare un fritto asciutto)

Ciambelle fritte per carnevale, o in Sicilia per Natale, ma anche per san Giuseppe, per i grandi e per i piccoli, insomma, quando volete voi. Un impasto lievitato che si tuffa in olio profondo e bollente, pena un fritto decisamente poco leggero. Ma lo sapete, no? Chi non sa queste cose sulle ciambelle?

Ciambelle sofficissime senza patate

Io ho tempi biblici con le ricette. Non soffro certo di acting out culinari.
Sfoglio molte ricette, mi innamoro di alcune, ma ci metto una vita a replicarle.

Queste sono le ciambelle che io chiamo "di Lori". La ricetta viene dal blog Torte e decorazioni, ed ogni volta che leggevo il risultato, qualcuno giurava che fossero le più soffici del mondo.
E' passato più di un anno da quando le ho scoperte a quando ho deciso di farle. Perché?

Le ciambelle sono come la torta di mele, ognuno ha la sua ricetta. Ed ogni ricetta promette la migliore sofficità del mondo. Come si fa a valutare? Certo, ci possono essere oggettivamente ricette migliori e peggiori, ma c'è anche l'esecuzione che gioca la sua parte...

Io faccio ciambelle da una vita. Mia nonna ha fritto ciambelle per una vita.
Abbiamo sempre avuto una ricetta di famiglia, e ci è sempre sembrata valida. Se qualche anno fa avessi dovuto cambiare la mia ricetta per questa qui, probabilmente avrei preferito farmi tagliare un braccio. Lo stesso avrebbe detto la mia vicina di casa, eh (per la sua, non per la mia ricetta!).
Però con le ciambelle di Lori non ho resistito (e dato che ve lo le racconto, non mi sono pentita!) e ho dovuto provare (si, vabbè, dopo un anno, ma non andiamo per il sottile!).

Ciambelle sofficissime senza patate

In Sicilia abbiamo moltissime ricette di ciambelle, sfinci, frittelle, e via discorrendo. Leggete tra i blog e troverete sempre "la più del mondo". Ma, sempre leggendo tra i blog, fate un giro virtuale per l'Italia e vedrete come le ciambelle si friggono in tutto il Paese, e le ricette non sono poi così diverse. Parliamo di un dolce semplice, povero, con ingredienti alla portata di tutti.

Oggi ci sono varie ragioni che portano a non friggere come una volta: ragioni salutistiche, dietetiche, diverso stile di vita, e non ultima una buona intolleranza per la puzza di fritto in giro per casa.

Ciambelle sofficissime senza patate 

Per me le ciambelle sono un legame fortissimo con l'infanzia, come per molti di voi. Quando ero bambina le mangiavo spesso, e oggi non so dire se il sapore di allora era realmente più buono o è talmente impregnato di affetti e ricordi piacevoli da modificarne la memoria a posteriori.

Oggi però sono cresciuta. Non solo rispetto a quando ero bambina, ma anche rispetto a quando ho cominciato a cucinare. So che c'era un tempo per me in cui il fritto era buono solo perché fa gola, e non sapevo distinguere tra un lievitato fatto bene o male, una frittura eseguita bene o male, e così via.

Oggi penso di capirne un pochino di più (non tutto, ma un po' sì). So cosa devo fare per non caricare una ricetta di lievito di birra ed evitare il mal di pancia. So riconoscere quando un impasto è pronto guardandolo e toccandolo. So che per friggere non devo avere fretta con la temperatura dell'olio, altrimenti tutto sarà zuppo e intriso, e non leggero. Un tempo facevo tutti questi errori.
E soprattutto oggi so come devo scegliere i miei ingredienti perché non mi facciano male (però ho perso un po' la mano nel fare delle ciambelle fighe!).

Con queste consapevolezze, davanti al pentolino dell'olio bollente, rifletto tra me e me sul fatto che fare le ciambelle diventa così un'esperienza molto diversa. Penso a quante ricette sono valide, ma che siamo sempre noi a fare la differenza. Chissà come sarebbe stato, oggi, parlare di questo con la nonna.

ingredienti

Per 10 ciambelline piuttosto grandi, o 20 piccole
  • 250 gr di farina di riso
  • 250 gr di farina integrale
  • 250 ml di latte
  • 2 uova medie
  • 50 gr di zucchero
  • 50 gr di strutto fuso* (se non lo trovate usate del burro)
  • 8-10gr di lievito di birra fresco (o 15-20gr di lievito madre secco)
  • buccia grattugiata di un'arancia e un limone non trattati
  • un tappo di marsala (o liquore a vostra scelta)
  • 3 o 4 gr di sale
  • olio di semi di girasole per friggere
  • zucchero semolato per la copertura
*lo strutto dà agli impasti una particolare sofficità

preparazione

Sciogliete lo strutto e fatelo raffreddare.
Nella ciotola dell'impastatrice (o in un recpiente, se impastate a mano) mettete la farina e la buccia grattuggiata dell’arancia e del limone.
Fate la fontana se impastate a mano.

Mettete al centro il lievito di birra sciolto in un po' di latte tiepido.
Miscelate leggermente con le mani o con il gancio K a bassa velocità.

Avviate l'impastatrice (o cominciate ad impastare) unendo il latte a filo.

Rompete due uova e battetele con una forchetta, quindi unitele poco per volta alla vostra farina alternandole con lo zucchero, in due o tre volte; portate l'impastatrice a velocità 1 (kenwood). Cercate di mantenere l'impasto aggrappato alla foglia prima di inserire altro uovo.

Unite il liquore da voi scelto e il sale.

Aggiungete lo strutto ormai freddo e incordate.

Continuate ad impastare fino ad ottenere un impasto liscio che si stacca dalle pareti e dal fondo della ciotola o dalle mani.

Coprite con un canovaccio (io con pellicola trasparente) e fate riposare in luogo tiepido fino al raddoppio.

Lori fa partire la lievitazione per circa mezzora, poi riprende l’impasto e forma delle palline (10/12), le mette su un vassoio molto infarinato e le copre con pellicola trasparente fino al raddoppio del volume. Io con questo metodo ho fatto fatica a riprendere le palline al momento di friggerle (mia nonna, al raddoppio dell'impasto, scaldava l'olio e strozzava una pallina con le mani, dandole poi la forma che voleva).

Con questo impasto, non troppo molle e appiccicoso, sono riuscita a formare le ciambelle con le mani prima di tuffarle nell'olio (bucandole coi pollici al centro), e poi girandole vorticosamente nell'olio con uno spiedo per qualche secondo, per perfezionare la forma.

Riscaldate l’olio in una pentola profonda (io ne ho utilizzato una piccola e ho cotto le ciambella una massimo due per volta. Ricordate che ogni ciambella abbassa la temperatura dell'olio, quindi non dovrete esagerare nel numero).

Alcune regole imprescindibili per una buona frittura:
  • utilizzate un olio di buona qualità e che ben sopporti le alte temperature: sì all'olio di semi, meglio se di girasole, no all'olio di semi misti che ha temperature di fusione diverse; va bene anche l'olio d'oliva, ma tenete conto che dà ai fritti un sapore più marcato.
  • La quantità di olio deve ricoprire completamente il cibo che friggete: non potete usarne di meno senza compromettere l'omogeneità della cottura.
  • La temperatura corretta si aggira sui 180°; se non avete un termometro, usate un pizzico di farina o una mollica di impasto per tuffarlo in olio e controllare se sfrigola prima di iniziare a friggere. 
  • Se non sfrigola, aspettate: l'impatto del cibo con l'olio bollente forma la crosticina che permette a ciò che cucinate di impermeabilizzarsi all'olio, e quindi di non inzupparsi. E' questo il segreto di una frittura asciutta!
  • Per mantenere la temperatura dell'olio alta e costante, non immergete mai troppo cibo nel vostro tegame: ogni elemento assorbe calore e abbassa la temperatura, con il risultato descritto sopra. Controllate la vostra temperatura man mano che friggete.

Con il pollice, a questo punto, fate il buco alla vostra pallina, ma molto delicatamente, cercando di non farla sgonfiare, e tuffatela nell’olio molto caldo.

Scolate le ciambelle in carta assorbente e rotolatele nello zucchero semolato.
Servite calde o tiepide.


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mercoledì 29 gennaio 2014

Torta soffice al limone, con crema e glassa rosa: la torta dei sette vasetti in versione Torta di Padre Pio (in 10 giorni)

La chiamano La torta di padre Pio: si tratta di uno starter di farina, zucchero e latte, che si lascia riposare qualche giorno e poi si impasta con altri ingredienti. Non mi sembra molto diversa dalla torta dei sette vasetti, ma si prepara in più giorni. E' facilissima, ed ha sempre una marcia in più rispetto ad altre torte da colazione che io preparo. Oggi, con la dovuta razionalità, ve ne parlo in una versione davvero buona. Ce la fate ad aspettare alcuni giorni per avere una torta semplice ma golosa?

torta soffice al limone con glassa rosa

Lo so, qualcuno si starà scandalizzando esattamente come me quando ho sentito la storia di questa torta. Tradizione vuole che si riceva in regalo un impasto, una di quelle terribili "catene" piene di regole improbabili finalizzate a ricevere una grazia dal santo.
Questa storia, con tutto il rispetto per la devozione di chi ne segue scrupolosamente i passaggi con fede, mi ha fatto davvero ridere. Si narra che la torta piacesse molto al santo (!!!) e solo se rispetti le regole sarai esaudito. Forse mi inimicherò qualche lettore, ma la mia idea è un po' diversa: credo che la fede non abbia bisogno di torte o procedimenti per essere esaudita, e che non è certo questo il modo per ingraziarsi Padre Pio o chi per lui.

torta soffice al limone con glassa rosa

Ma andiamo alla mia torta. Ho accettato il vasetto, molti mesi fa, per fare un favore ad un'amica che mi ha fatto assaggiare la torta (nella versione originale con pezzetti di mela e noci) facendomi letteralmente impazzire: la torta è Buonissima, e lo scrivo con lettera maiuscola. Quindi, fede o no, ho voluto replicarla. Per un po' sono andata avanti di continuo, facendola una o due volte al mese (rinfrescando il contenuto del vasetto secondo il procedimento stabilito, che non faticherete a trovare in molti siti) e variando un po' gli ingredienti. Non so com'è, ma 'sta torta veniva sempre eccezionale.
Poi, nel periodo natalizio, l'ho messa da parte e quando ci ho ripensato dopo le feste ho provato a ripartire da zero, pur avendo congelato un bicchiere di impasto che non ho ancora usato.

Le ragioni che posso portarvi a partire da zero sono molte:
innanzitutto, dovreste reperire il famoso vasetto ed entrare nella famosa catena (cosa che io non ho fatto perché non ho donato il mio vasetto a nessuno);
poi, in questo vasetto che passa di casa in casa, perdonate se ci penso, ma potrebbe esserci dentro davvero di tutto (sono esagerata?).
E allora provate voi, e sono certa che non ve ne pentirete. Si vede dalle foto quanto è soffice?

torta soffice al limone con glassa rosa

Ho provato a cercare informazioni "scientifiche" sul funzionamento di questo impasto, che sembra tanto una pasta madre dolce, ma non ho trovato nulla (tra parentesi: ho provato ad usarla senza lievito, per vedere se questo impasto fosse lievitante di per sé, ma non ho avuto successo). Quindi, mettendo da parte sia la ragione che la fede, mi sono accontentata del risultato. Sono sicura che troverete anche voi questa torta davvero particolare. Questa è una versione più aristocratica, farcita con crema agli agrumi e glassata con una glassa rosa ai frutti di bosco.

torta soffice al limone con glassa rosa

Un'ultima piccola nota: dato che questa torta fa parte delle merende per mia figlia, io uso solo ingredienti biologici e naturali. Potete usare gli ingredienti che volete, sia per i rinfreschi che per il procedimento, così come potete non farcirla e aggiungere frutta fresca o secca a pezzetti. Io uso farine integrali, latticini e uova bio, e nessun colorante artificiale. E' per questo che, per avere una glassa rosa come desiderava la mia principessa, mi sono "inventata" di utilizzare non acqua bollente ma una tisana ai frutti di bosco. Aroma e colore garantiti!

ingredienti

Per una torta da 26cm di diametro la misura è un vasetto o un bicchiere da 125ml.
La metà per una torta di diametro 22 cm.

Starter:
  • 1 vasetto di farina
  • 1 vasetto di zucchero
  • 1 vasetto di latte

Per l'impasto:
  • 2 vasetti del precedente impasto
  • 1 vasetto di farina
  • 1 vasetto di latte
  • 1 vasetto di zucchero, 
  • 1 vasetto scarso di olio di semi
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • 2 uova intere,
  • scorza di limone
  • un pizzico di sale
Per la crema:
  • 200 gr latte intero
  • 50 gr panna
  • 75 gr tuorli
  • 75 gr zucchero
  • 16g di amido
  • 1/2 bacca di vaniglia
Per la glassa all'acqua:
  • una tisana ai frutti di bosco
  • zucchero a velo q.b. 

preparazione

Mettete l’impasto dello starter in un contenitore e chiudete ermeticamente per 24 ore lasciando a temperatura ambiente.
Il 2° giorno mescolate l’impasto e lasciate riposare per tre giorni.
Trascorso questo tempo togliete 1 vasetto di impasto e mettetelo in frigo se avete intenzione di rifare il dolce (in questo caso comincerete con l'aggiungere farina e zucchero, poi nulla per tre giorni, e poi ripartirete come indicato in ricetta), altrimenti congelatelo. Quando serve basta scongelarlo a temperatura ambiente.

Con il rimanente impasto procedere nella preparazione della torta, mescolando tutti gli ingredienti, prima i liquidi e poi i solidi.

Imburrate e infarinato uno stampo e cuocete a 180° per 30-40 minuti minuti (vale la prova stecchino).

Nel frattempo preparate la crema.

In un pentolino portate il latte e la panna a bollore.

A parte, mescolate i tuorli con lo zucchero, i semi della vaniglia e l'amido.

Quando il latte sta per bollire, versate la crema di tuorli, senza mescolare. La crema non si attacca, ma, anzi, si addensa subito. Quando si è rappresa, si può spegnere il fuoco e mescolarla delicatamente.

A questo punto, trasferitela in una ciotola e ricopritela con della pellicola a contato diretto, in modo che non si formi una sgradevole crosticina. Fate freddare completamente prima di utlizzarla.

Montate il dolce.
Dividete la  torta a metà orizzontalmente e farcitela con la crema.
Preparate una tisana bollente con poca acqua.
In una ciotola ponete un paio di cucchiai di zucchero a velo setacciato, quindi aggiungete un cucchiaino alla volta la vostra tisana, in modo da fermarvi appena avete la giusta consistenza (glassa densa e colorata al punto giusto). Se necessario aggiungete zucchero.

Versate la glassa sulla torta in più riprese, lasciate colare e raffreddare.


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© Melazenzero. Immagini e contenuti sono protetti da copyright. Si prega di non utilizzare le immagini senza previa autorizzazione. Se si vuole ripubblicare questa ricetta o i concetti espressi nella descrizione, si prega di ri-scrivere la ricetta con parole proprie, e porre sempre e comunque un link a questo post per la ricetta.

martedì 31 dicembre 2013

Lascio andare: ricetta per il nuovo anno

Quando la nostra vita si anestetizza intorno alle abitudini il cambiamento diventa lento e difficile. Per fare spazio al nuovo bisogna avere il coraggio di lasciare andare ciò che non ci serve più.


lascia andare
collage di foto da google

Tutti facciamo buoni propositi nell'ultimo dell'anno.
Tutti facciamo agli altri auguri che vogliamo anche per noi stessi.
Che sia un anno migliore, che ci porti cose belle, che la felicità si impossessi di noi.

Come se voltare pagina di calendario avesse un effetto magico sulle nostre vite, e guardando all'anno nuovo intonso e immacolato tutto fosse possibile. Alzando quel calice di mezzanotte, tutti i desideri salgono al cielo.

Questo che è appena passato è stato un anno importante per me: ho attraversato alcuni grandi cambiamenti, ho imparato un sacco di cose nuove. Mi sento un'altra persona.
Se io ho lavorato per esserlo, tuttavia, penso anche che queste cose avvengono anche naturalmente, ed ogni giorno ci cambia un po', ci rende persone diverse.
Se siamo aperti alla consapevolezza di tutto questo, non possiamo che trarre benefici dal cambiamento insito nella crescita.

C'è una consuetudine nota a molti, nell'ultima notte dell'anno: buttare via qualcosa di vecchio per fare spazio al nuovo. Qualcuno lo fa concretamente, bruciando o lanciando oggetti dalla finestra in segno augurale, qualcuno lo fa simbolicamente.

E' per questo che in questo articolo voglio mettere la ricetta per il nuovo anno (la mia, personale, ovviamente) che prevede, piuttosto che una lista di ingredienti da mettere insieme, una lista di cose da LASCIARE ANDARE. Una ricetta al contrario.
preparazione

Prendete una serie di cose che si sono accumulate nell'ultimo anno, e cominciate a togliere quello che non vi serve. Siamo bravissimi ad accumulare il superfluo, forse per istinto, forse perché siamo biologicamente determinati ad accumulare per sopravvivere. Ma arriva il momento in cui quello che non serve comincia a stare al posto di qualcos'altro.

Quando siamo insoddisfatti della nostra condizione attuale (e in questo periodo tanti abbiamo ragione di esserlo), è abbastanza inutile lamentarsi. Per quanto piangersi addosso sia una fase importante, quella del rendersi conto del problema, non possiamo permetterci che duri troppo a lungo, se questo ci impedisce di muoverci verso le soluzioni.

E' universamente noto, persino in medicina, che il pessimismo non è un buon alleato: la forza della mente è tale che l'ottimismo, invece, riesce a far miracoli, a guarire persino le malattie più ostinate, a farci produrre sostanze "magiche" che innescano a catena una serie di reazioni positive.

A volte mi trovo così dentro ad alcune abitudini  da diventare incapace di cambiare.
Nel corso dell'ultimo anno ho dovuto rompere talmente tanti meccanismi consolidati dal ritrovarmi, ad un certo punto, con poche dolorose certezze. Una fase dolorosa ma necessaria, quella del dolore, che mi ha permesso di fare piazza pulita e di ricostrure.

Ma la cosa più affascinante è che quando si affronta un cambiamento significativo, si pensa che ad un certo punto si taglierà un traguardo e si sarà "giunti". E invece no.
Quello che impari strada facendo è che questo cambiamento è un percorso, è l'essere on the road again tutti i giorni, e che non si arriva mai. Augura a te stesso di non essere mai arrivato, perché finché c'è vita c'è strada da fare, e solo chi muore arriva!

Quindi la sofferenza è impegnativa, oltre che necessaria, ma la incontrerai ancora e ancora, molte volte. La benedico, la ringrazio, la saluto e la accolgo, perché mi insegna a guardare dove prima non volgevo mai lo sguardo. E poi la lascio andare, muovendomi verso qualcosa di meglio.

Ed ecco la mia "lista" di "ingredienti" che non mi servono più, e che lascio andare per fare entrare il cambiamento che desidero.

ingredienti

Lascio andare:
  • I "si deve".
Vivo molte cose secondo quello che mi è stato insegnato, e sono grata per gli insegnamenti importanti che mi hanno permesso di diventare quello che sono, ma a volte il senso del dovere e del conformismo chiudono i sensi alla libertà e all'autenticità.
  •  L'attaccamento alle cose.
Non voglio niente che non sia ciò di cui ho davvero bisogno.
Sembra facile, ma in quel davvero c'è il lavoro di una vita. Sono così lontana dal sentire quello che mi piace, quello che mi serve!
Troppo spesso dimentico di chiedermi "cosa mi serve ADESSO": il qui ed ora è fondamentale, e se una cosa mi piace, mi fa stare bene, non è detto che lo faccia in ogni momento della mia vita. Ascoltare il mio corpo, sentire i suoi bisogni, momento per momento. Sempre.
  • Il passato.
Le persone come me si affaticano nella difficoltà a lasciare andare il passato. Il nuovo fa sempre un po' paura. Non ho una ricetta per questo, ma se anche tu come me vivi di romantiche nostalgie, prova ad avere un po' di fiducia nel presente. Sono poche le sicurezze di cui abbiamo bisogno: il respiro, il contatto dei nostri piedi sul terreno, la capacità delle nostre gambe di muoversi in avanti, delle nostre spalle di sostenerci. Sono metafore, ma anche no. Chi vive il presente non teme il futuro: sarà solo il nostro oggi, quando sarà il suo momento.
  • Le scuse.
Ho vissuto molte situazioni in cui il mio peggior nemico sono stata io stessa. Le mie paure mi hanno spesso accecato, facendomi inventare scuse per non affrontare determinate situazioni. La cosa peggiore di tutto questo è che, quando non ce ne rendiamo conto, per l'appunto non lo vediamo nemmeno. Se un altro ce lo fa notare, neghiamo; se un amico ce lo dice, ci innervosiamo.
Sono scuse: la verità è dolorosa, e non pretende di avere ragione.
  • Le cose preconfezionate.
La nostra vita è piena di definizioni che diamo alle cose, alle persone, a noi stessi. Queste nascono per essere utili, per aiutarci a classificare la vastità della vita, ma finiscono con l'essere limitanti nel nostro approccio alle cose. Io lascio andare tutte le definizioni di me stessa che mi hanno dato, e che mi sono data, per vivere ogni giorno con l'ingenuità di un bambino che deve ancora dare un senso alle cose. Quando non do nulla per scontato il mondo mi svela, anche sugli altri, segreti che non avrei immaginato: via i vincoli, voglio essere libera!
  •  Il bisogno di far bella figura.
Prima di Natale è arrivato per me un insegnamento importante che è passato attraverso un momento di grande malessere fisico. Ero così presa da quello che dovevo fare (tutte cose autoimposte, eh!) dal non sentire più cosa volevo fare. Le due cose si erano confuse in modo poco sano.

Molte delle cose che facciamo, e questo è legato ai "si deve" (vedi sopra), le facciamo per strani motivi: vogliamo piacere, vogliamo che ci dicano bravi o che soltanto lo pensino, vogliamo qualcosa in cambio, vogliamo essere riconossciuti attraverso le cose che sappiamo fare. Ma spesso tutto questo non serve.

La perfezione non esiste, ed è del tutto inutile che io la insegua attraverso il fare-fare-fare. Non sarò migliore se lavoro di più, pulisco di più, faccio di più, e così via. La qualità è decisamente migliore della quantità, ma nello stesso tempo questo pensiero mi porta a scoprire che ci sono cose che ritengo importanti e che in realtà non lo sono.

Ci saranno momenti in cui qualcuno si aspetterà da me qualcosa, ma non lo farò se questo mi porterà un disagio che si ripercuoterà sul mio benessere e, indirettamente, sulle mie relazioni significative. Sai di cosa sto parlando?
  • Il giudizio.
Io sono il giudice più severo di me stessa, e con questo mi do sempre la zappa sui piedi.
E' davvero difficile rinunciare a giudicare: noi stessi, gli altri, le cose. Un atteggiamento ingenuo, tuttavia, come dicevo sopra ci permette il lusso della sorpresa. L'imprevedibile. Un nuovo modo di guardare molte cose. E se il giudizio nasce -sempre- da un modo rigido di percepire (una situazione, una relazione, una persona) io abbandono gli stereotipi e smetto di dare le cose per scontate. Esco dal mio -unico- modo di giudicare, e mi metto in altri panni.
  • Il bisogno di controllare.
Prende vie strane, talvolta, il nostro bisogno di sicurezza. Pianificare nei minimi dettagli è un tentativo di controllare, resistere al cambiamento è un tentativo di controllare, cercare di aver sempre ragione è un tentativo di controllare...
Ho imparato che tutto ciò che mi tocca davvero il cuore sembra avere una consistenza eterea: la creatività, la musica, la sensualità, la gioia di vivere, la saggezza.
Eppure la vita non si ferma, né si dirige, né le si può impedire di fare i suoi percorsi, anche quando ci illudiamo che sia in nostro potere farlo.
Ma soprattutto, ho capito che tradurre queste sensazioni in parole che siano intellegibili per gli altri è davvero arduo, perché non sono teorie ma esperienze! Ciascuno di noi ha il suo percorso personale, ed è impossibile trascinare qualcuno in una strada che non vuole fare.
Auguro quindi a tutti voi il potere del relax.
Pensiamo che per essere rilassati dobbiamo stare fermi e non fare nulla.
A me piace pensare che RILASSARE  porti l'etimo di allargare, sciogliere: azioni che implicano un movimento positivo e volontario, che ci permettono di AMPLIARE l'esperienza, a partire da ciò che sentiamo buono per noi stessi. Non l'immobilità, quindi, ma il cammino sulla strada della consapevolezza.

© Melazenzero. Immagini e contenuti sono protetti da copyright. Si prega di non utilizzare le immagini senza previa autorizzazione. Se si vuole ripubblicare questa ricetta o i concetti espressi nella descrizione, si prega di ri-scrivere la ricetta con parole proprie, e porre sempre e comunque un link a questo post per la ricetta.

martedì 26 novembre 2013

Il Pandorlato di Paoletta

Un lievitato semplice ma goloso e profumato, il Pandorlato è presentato da Paoletta nel suo blog come una buona alternativa ai grandi lievitati, ispirato dalla ricetta del panbabà di Adriano.

pandorlato da 500g

Giovedì. Venerdì. Sabato e tutta Domenica.
Che weekend ragazzi... era da tanto che desideravo fermarmi e impastare no-stop.
Ci voleva la febbre: una bella influenzona di quelle che ti toglie ogni isteria, impazienza e velleità che mal si accordano con gli impasti e i lievitati. Quando si dice "non tutti i mali vengono per nuocere"...

Ho cominciato con due pandori. Due diverse versioni della stessa ricetta, da mettere a confronto (ma questa è un'altra storia e la scrivo dopo): catatonica per il mio status di malaticcia, procedevo con leggi-pesa-impasta-leggi-pesa-impasta. Nessuna emozione, nessuna distrazione (encefalogramma piatto): perfetto no?

Non è mancato qualche errore, ma non pandoravo da un anno... posso essere perdonata?
Nel frattempo ho anche sperimentato questa nuova ricetta. Comincio dalla fine e ve la presento.


pandorlato da 500g

Ecco cosa mi piace fare: impastare, raccontare e condividere.
Lui (il Pandorlato) esce fuori dal forno verso mezzanotte, nella sua imperfetta bellezza, ed io quasi mi commuovo. Lo guardo e sono felice, non riesco a smettere di guardarlo e non vedo l'ora di ricominciare. E' come una droga, non riesco a smettere di pensare agli impasti. Lo so che poteva venire meglio, ma io sono soddisfatta e divertita.

Ecco quel che avviene in questi giorni tra le mie ricette: per ora volo basso, ma il coraggio non mi manca! E voi? Vi state preparando per Natale? Avete meno di un mese!

pandorlato da 500g

Elogio dell'imperfezione. 

Penso che un lievitato, un'avventura, un'esperienza (metafora della Vita), dovrebbe fare esattamente questo: farti venire voglia di ricominciare. Perché ti piace. Perché ti sei divertito.
Dovresti avere voglia di non fermarti, di non arrenderti solo perché non ci sei riuscito. 

  
Le passioni nascono con amore e per amore... impastare è passione, e  l'amore non si divide (e non divide!) ma si moltiplica.

L'entusiasmo è il motore di tutto.
Enjoy!

ingredienti

Dose per  pirottino da panettone alto, 500g

187g di farina w350
54g di latte intero
64g di zucchero
74g di burro
2 uova
6g di lievito di birra
3g di sale
zeste di 1 arancia bio
2 cucchiai di cointreau
1 cucchiaino di miele d'acacia (abbondante)
mandorle una manciata (io amaretti)

preparazione

Vi riporto le parole di Paoletta che perfettamente descrivono il procedimento.

Nota: io ho iniziato al mattino e infornato la sera, ma è possibile il contrario ed io la prossima volta comincerò di sera, per non infornare troppo tardi l'indomani.

Verso le 8 p.m.

Mescoliamo il latte intiepidito con il lievito, il miele e 47gr di farina, copriamo.
Dopo una mezz’ora (deve gonfiare) uniamo gli albumi, il resto della farina (140g) e mescoliamo, con la foglia, a vel. 1 (kenwood).
Uniamo 3g di sale, il liquore e portiamo lentamente a vel. 2, incordiamo (ci vorranno 5 – 10 minuti).

Riduciamo a vel. 1,5 ed uniamo un tuorlo, e metà dello zucchero
alla ripresa dell’incordatura aggiungiamo un altro tuorlo e il resto dello zucchero.

Serriamo l’incordatura ed uniamo, un cucchiaino alla volta, 27gr di burro fuso freddo,
portiamo a 1,5, incordiamo ed aggiungiamo il burro rimanente morbido a pezzetti (47g)
insieme alla buccia di arancia, incordiamo.
Dovrà presentarsi lucido e ben legato.

note: se faticate un po' ad incordare, alla fine, dopo il burro morbido, aggiungete 15 gr di farina.

Poniamo in un recipiente da frigo, sigilliamo e, dopo 40/50 minuti (assicurarsi che parta la lievitazione), poniamo in frigo o in una zona sui 6 – 9° per circa 6/8 ore.

A questo punto potete andare a nanna, oppure uscire, insomma.... ciao.

Tiriamo fuori dal frigo e, dopo 30' minuti (acclimatiamo), rovesciamo sul tavolo infarinato e diamo le pieghe del tipo 2, dovremo ottenere una massa compatta.

Con la chiusura sotto arrotondiamo e trasferiamo in uno stampo da panettone da 500 gr.
Copriamo con pellicola e poniamo in forno spento, lampadina accesa fino a che non arriva ad un dito e mezzo sotto il bordo dello stampo (da tre a cinque ore, circa).

Pennelliamo delicatamente con albume leggermente battuto e spolveriamo prima con zucchero a granella, poi decoriamo delicatamente con le mandorle a piacere, infine spolveriamo con zucchero a velo.

Quando quest'ultimo sarà assorbito spolveriamo ancora con zucchero a velo, e inforniamo a 180° per circa 30 minuti, su placca del forno, posizionata su grata bassa, perchè cresce molto.
Controlliamo di frequente che lo zucchero non bruci, casomai copriamo con carta stagnola. Sforniamo e poniamo su una gratella fino al raffreddamento (io ho appeso agli spiedi a testa in giù per tutta la notte).

Consiglio vivamente l'inserimento di canditi o massa aromatica per caratterizzarlo come un panettone. Perfetto, ovviamente, anche a pasqua. Sbizzarritevi!

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venerdì 4 ottobre 2013

Salatini o crackers con lievito madre non rinfrescato, senza uova né burro (e la dieta di mantenimento)

Salatini rotondi da aperitivo, o piccoli crackers se volete, che mia figlia utilizza per gli spuntini: con un notevole risparmio di calorie e di grassi rispetto ai loro cugini da supermercato. 
I più friabili che io abbia mai ottenuto... hanno una sola controindicazione: sono un tremendo cibo-domino, e non riuscirete a fermarvi!

Salatini con lievito madre e strutto

Gente, qui finisce che vi giro più ricette di riciclo degli scarti dei rinfreschi che lievitati veri e propri! Ebbene sì, lo sapete, buttar via gli avanzi del rinfresco del lievito madre è davvero un peccato. Io sono sempre alla ricerca di un modo per non far finire nel secchio troppa farina. E oggi mi sono inventata i salatini.

Oggi però prendo la scusa di questa ricetta per raccontarvi un'altra cosa: oggi è il primo giorno del resto della mia dieta. Ebbene sì, la dieta di mantenimento progredisce, e si arricchisce di nuove concessioni.

Salatini con lievito madre e strutto

Come sono arrivata a questo punto? Sembrava lontanissimo. Appena qualche mese fa pensavo non sarebbe mai arrivato. Da quando sono entrata nella fase di mantenimento (che inizialmente era ancora piuttosto limitata) ho perso altri tre chili: inaspettati.
Avrei in teoria dovuto mantenere il peso di quel momento, ed invece, complice il mare, le nuotate, lo sport, ho perso ancora qualche chiletto, tanto da pensare che adesso vorrei proprio fermarmi qui... sono abbastanza soddisfatta.

Ve lo dico? E' una cosa che mi emoziona abbastanza. Penso allo scorso gennaio, a quando ho iniziato, a quanto è stata dura. Penso che vorrei non passarci mai più.
Penso talvolta di non ricordare com'era portarsi dietro un corpo tanto diverso da adesso, un corpo che tutto sommato non era il mio.
Ora mi riconosco: "prima" ero così, ora sono così. "Ciao", mi dico quando passo davanti ad uno specchio, "bentornata". E sorrido.

Ho sempre pensato della gente che entrava in dieta di mantenimento che potesse fare ciò che voleva: sbraco massimo, più o meno. Ed invece vi assicuro che non è così, la paura di dover ricominciare tutto da capo c'è e basta a farmi pensare che gli sgarri devono essere limitati.
Però, inutile che lo dica, non è più come prima, quando alimentarsi era uno slalom tra cibi proibiti e non, e tutto era davvero complicato. Ora persino fare la spesa è più semplice.

Ci sono sapori che mi emozionano. Ora sto davanti a certi cibi con una consapevolezza diversa. Mai più pane, ad esempio, mi sono detta. Perché? Semplice: non posso farlo perché è il mio punto debole! Appena me lo trovo davanti non resisto. Quindi mi sono detta che per un po' non farò più pane in casa (a tutto il resto riesco a resistere).

Mi sento ancora in cammino, al lavoro, sento che non è finita. Ogni giorno richiede una programmazione, una consapevolezza, abbastanza attenta, anche se le maglie sono adesso molto più larghe.
Non posso abbandonare lo sport, non voglio farlo: perché ormai non riesco a rinunciarci, e perché so che è una delle cose che ho imparato, un trucco -se vogliamo- per far sì che questo cambiamento non sia solo una parentesi accidentale, ma sia permanente.

Perché io voglio che lo sia davvero: voglio andare avanti, e mai più indietro. "Per sempre" è tanto tempo, ma il futuro non si aspetta... si prepara. Da oggi.

P.S.: ovviamente ho mangiato una porzione di questi salatini, e sono di-vi-ni!

Salatini con lievito madre e strutto


ingredienti

Vi riporto le dosi che ho scelto di utilizzare, ma vi spiego anche come calcolare le vostre, dal momento che gli scarti del lievito madre non hanno mai peso uguale.

  • Si parte dal Lievito Madre: io 230g
  • Metà del suo peso di farina 0: io 115g
  • Metà del peso della farina di acqua: io 58
  • Un terzo del peso dell'acqua di strutto: io 19g
  • un pizzico di bicarbonato se necessario
  • Sale, 4g
  • farina di semola q.b. a dare giusta consistenza all'impasto (io un piccolo pugno)
  • olio d'oliva e sale grosso per rifinire
preparazione

Ho impastato a mano con mia figlia!

Abbiamo messo in una ciotola l'acqua appena tiepida ed il lievito madre spezzettato.
Poi abbiamo aggiunto la farina setacciata (non nella seconda esecuzione, in cui l'abbiamo versata a pioggia), lo strutto, per ultimo il sale. Abbiamo unito tanta semola fino ad ottenere un impasto malleabile ma morbido, non duro e tenace.

Abbiamo impastato vigorosamente per una decina di minuti. Io ho eseguito una serie di pieghe dai lati verso il centro per portare in tensione la pasta.
L'impasto migliora se a questo punto lo lasciate risposare 15-20 minuti coperto a campana da una ciotola, sul piano di lavoro, a temperatura ambiente.

Poi abbiamo steso col mattarello e ricavato con uno stampino tanti dischetti, ma devo dire che con la macchinetta per sfogliare le tagliatelle è più semplice e anche più efficace. Con l'Imperia ho steso al numero 4 e 5, a seconda dell'uso che dovevo farne.
Potete infatti realizzare anche sfogliette per cremine da aperitivo, o crackers.

Disposti i dischetti su una leccarda rivestita di cartaforno, ciascuno è stato bucato con uno stuzzicadenti (importante se no gonfiano), spennellato d'olio e.v. d'oliva e ricoperto con qualche grano di sale grosso.

Vanno in forno caldo, 200° per 15-20 minuti.
Potete unire, prima di infornare, anche origano, rosmarino, paprica, per renderli più aromatici.



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E' per questo che ogni tanto latitiamo...