Quando la nostra vita si
anestetizza intorno alle
abitudini il
cambiamento diventa
lento e
difficile.
Per
fare spazio al nuovo bisogna avere
il coraggio di lasciare andare ciò che non ci serve più.
collage di foto da google
Tutti facciamo
buoni propositi nell'ultimo dell'anno.
Tutti facciamo agli altri
auguri che vogliamo anche per noi stessi.
Che sia un anno migliore, che ci porti cose belle, che la felicità si impossessi di noi.
Come se
voltare pagina di calendario avesse
un effetto magico sulle nostre vite, e guardando all'anno nuovo intonso e immacolato tutto fosse possibile. Alzando quel calice di mezzanotte, tutti i desideri salgono al cielo.
Questo che è
appena passato è stato
un anno importante per me: ho attraversato alcuni grandi cambiamenti, ho imparato un sacco di cose nuove. Mi sento un'altra persona.
Se io ho lavorato per esserlo, tuttavia, penso anche che queste cose avvengono anche naturalmente, ed
ogni giorno ci cambia un po', ci rende persone diverse.
Se siamo aperti alla
consapevolezza di tutto questo, non possiamo che trarre benefici dal
cambiamento insito nella
crescita.
C'è una
consuetudine nota a molti, nell'ultima notte dell'anno:
buttare via qualcosa di vecchio per
fare spazio al nuovo. Qualcuno lo fa concretamente, bruciando o lanciando oggetti dalla finestra in segno augurale, qualcuno lo fa simbolicamente.
E' per questo che in questo articolo voglio mettere
la ricetta per il nuovo anno (la mia, personale, ovviamente) che prevede, piuttosto che una lista di ingredienti da mettere insieme, una lista di cose da LASCIARE ANDARE.
Una ricetta al contrario.
Prendete una serie di cose che si sono accumulate nell'ultimo anno, e cominciate a togliere quello che non vi serve. Siamo bravissimi ad accumulare il superfluo, forse per istinto, forse perché siamo biologicamente determinati ad accumulare per sopravvivere. Ma arriva il momento in cui quello che non serve comincia a stare al posto di qualcos'altro.
Quando siamo insoddisfatti della nostra condizione attuale (e in questo periodo tanti abbiamo ragione di esserlo), è abbastanza
inutile lamentarsi. Per quanto piangersi addosso sia una fase importante, quella del rendersi conto del problema, non possiamo permetterci che duri troppo a lungo, se questo ci impedisce di
muoverci verso le soluzioni.
E' universamente noto, persino in medicina, che
il pessimismo non è un buon alleato: la forza della mente è tale che l'ottimismo, invece, riesce a far miracoli, a guarire persino le malattie più ostinate, a farci produrre sostanze "magiche" che innescano a catena una serie di reazioni positive.
A volte mi trovo
così dentro ad alcune abitudini da diventare incapace di cambiare.
Nel corso dell'ultimo anno ho dovuto
rompere talmente tanti
meccanismi consolidati dal ritrovarmi, ad un certo punto, con
poche dolorose certezze. Una fase dolorosa ma necessaria, quella del dolore, che mi ha permesso di fare piazza pulita e di ricostrure.
Ma la cosa più affascinante è che
quando si affronta un cambiamento significativo,
si pensa che ad un certo punto si taglierà un traguardo e si sarà "giunti". E invece no.
Quello che impari strada facendo è che
questo cambiamento è un percorso, è l'essere
on the road again tutti i giorni, e che
non si arriva mai. Augura a te stesso di non essere mai arrivato, perché finché c'è vita c'è strada da fare, e solo chi muore arriva!
Quindi
la sofferenza è impegnativa, oltre che necessaria, ma la incontrerai ancora e ancora, molte volte.
La benedico, la ringrazio, la saluto e la accolgo, perché
mi insegna a guardare dove prima non volgevo mai lo sguardo.
E poi la lascio andare, muovendomi verso qualcosa di meglio.
Ed
ecco la mia "lista" di "ingredienti" che non mi servono più, e che lascio andare per fare entrare il cambiamento che desidero.
Lascio andare:
Vivo molte cose secondo quello che mi è stato insegnato, e sono grata per gli insegnamenti importanti che mi hanno permesso di diventare quello che sono, ma a volte il senso del dovere e del conformismo chiudono i sensi alla libertà e all'autenticità.
- L'attaccamento alle cose.
Non voglio niente che non sia ciò di cui ho davvero bisogno.
Sembra facile, ma in quel davvero c'è il lavoro di una vita. Sono così lontana dal sentire quello che mi piace, quello che mi serve!
Troppo spesso dimentico di chiedermi
"cosa mi serve ADESSO": il
qui ed ora è fondamentale, e se una cosa mi piace, mi fa stare bene, non è detto che lo faccia in ogni momento della mia vita.
Ascoltare il mio corpo, sentire i suoi bisogni, momento per momento. Sempre.
Le persone come me si affaticano nella difficoltà a lasciare andare il passato. Il nuovo fa sempre un po' paura. Non ho una ricetta per questo, ma se anche tu come me vivi di romantiche nostalgie, prova ad avere un po' di fiducia nel presente. Sono poche le sicurezze di cui abbiamo bisogno: il respiro, il contatto dei nostri piedi sul terreno, la capacità delle nostre gambe di muoversi in avanti, delle nostre spalle di sostenerci. Sono metafore, ma anche no. Chi vive il presente non teme il futuro: sarà solo il nostro oggi, quando sarà il suo momento.
Ho vissuto molte situazioni in cui il mio peggior nemico sono stata io stessa. Le mie paure mi hanno spesso accecato, facendomi inventare scuse per non affrontare determinate situazioni. La cosa peggiore di tutto questo è che, quando non ce ne rendiamo conto, per l'appunto non lo vediamo nemmeno. Se un altro ce lo fa notare, neghiamo; se un amico ce lo dice, ci innervosiamo.
Sono scuse: la verità è dolorosa, e non pretende di avere ragione.
La nostra vita è piena di definizioni che diamo alle cose, alle persone, a noi stessi. Queste nascono per essere utili, per aiutarci a classificare la vastità della vita, ma finiscono con l'essere limitanti nel nostro approccio alle cose. Io lascio andare tutte le definizioni di me stessa che mi hanno dato, e che mi sono data, per vivere ogni giorno con l'ingenuità di un bambino che deve ancora dare un senso alle cose. Quando non do nulla per scontato il mondo mi svela, anche sugli altri, segreti che non avrei immaginato: via i vincoli, voglio essere libera!
- Il bisogno di far bella figura.
Prima di Natale è arrivato per me un insegnamento importante che è passato attraverso un momento di grande malessere fisico. Ero così presa da quello che
dovevo fare (tutte cose autoimposte, eh!) dal non sentire più cosa
volevo fare. Le due cose si erano confuse in modo poco sano.
Molte delle cose che facciamo, e questo è legato ai "si deve" (vedi sopra), le facciamo per strani motivi: vogliamo piacere, vogliamo che ci dicano bravi o che soltanto lo pensino, vogliamo qualcosa in cambio, vogliamo essere riconossciuti attraverso le cose che sappiamo fare. Ma spesso tutto questo non serve.
La perfezione non esiste, ed è del tutto inutile che io la insegua attraverso il fare-fare-fare. Non sarò migliore se lavoro di più, pulisco di più, faccio di più, e così via. La qualità è decisamente migliore della quantità, ma nello stesso tempo questo pensiero mi porta a scoprire che ci sono cose che ritengo importanti e che in realtà non lo sono.
Ci saranno momenti in cui qualcuno si aspetterà da me qualcosa, ma non lo farò se questo mi porterà un disagio che si ripercuoterà sul mio benessere e, indirettamente, sulle mie relazioni significative. Sai di cosa sto parlando?
Io sono il giudice più severo di me stessa, e con questo mi do sempre la zappa sui piedi.
E' davvero difficile rinunciare a giudicare: noi stessi, gli altri, le cose. Un atteggiamento ingenuo, tuttavia, come dicevo sopra ci permette il lusso della sorpresa. L'imprevedibile. Un nuovo modo di guardare molte cose. E se il giudizio nasce -sempre- da un modo rigido di percepire (una situazione, una relazione, una persona) io abbandono gli stereotipi e smetto di dare le cose per scontate. Esco dal mio -unico- modo di giudicare, e mi metto in altri panni.
- Il bisogno di controllare.
Prende vie strane, talvolta, il nostro bisogno di sicurezza. Pianificare nei minimi dettagli è un tentativo di controllare, resistere al cambiamento è un tentativo di controllare, cercare di aver sempre ragione è un tentativo di controllare...
Ho imparato che tutto ciò che mi tocca davvero il cuore sembra avere una consistenza eterea: la creatività, la musica, la sensualità, la gioia di vivere, la saggezza.
Eppure la vita non si ferma, né si dirige, né le si può impedire di fare i suoi percorsi, anche quando ci illudiamo che sia in nostro potere farlo.
Ma soprattutto, ho capito che tradurre queste sensazioni in parole che siano intellegibili per gli altri è davvero arduo, perché non sono teorie ma esperienze! Ciascuno di noi ha il suo percorso personale, ed è impossibile trascinare qualcuno in una strada che non vuole fare.