Lo so, stiamo lesinando le nostre ricette. Non perché non si cucini, anzi, ma il tempo e la connessione sono sfuggenti.
Vacanza: tempo di relax e di profumi, di cibi semplici e di preziose coccole culinarie.
Sull'isoletta mi sveglio ad ogni alba, provando un battito di cuore emozionante ogni volta che il profumo dei dolci si mescola a quello del mare. Non c'è sensazione che io conosca che possa assomigliare a questa piccola, perfetta felicità.
Le giornate sembrano tutte uguali, ed invece è come se mordessi ogni attimo avidamente, come un dolce siciliano con la crema: addentandone il sapore e cercando di trattenerlo in bocca ancora un pò, prima di mandarlo giù a nutrire ogni fibra del corpo.
Ieri sera un piccolo dono insperato: la possibilità di vedere una commedia siciliana, la leggenda di ColaPesce.
ColaPesce è un uomo che decide di lasciare la sua terra, la Sicilia, in cerca di nuova fortuna, ma soprattutto un uomo che scopre nell'incertezza del mare e dei suoi flutti un nuovo regno.
Questo gli dà grande fortuna e lo rende famoso, fino a solleticare le invidie di re Federico II, che gli impone delle pericolose prove che gli faranno rischiare la vita.
La narrazione di queste imprese eroiche dipinge una sicilia poggiata sul fuoco dell'Etna, che scorre sotto il mare, come un "tavolino di terra" che si regge su tre colonne.
L'uomo libero, audace, apparentemente sprezzante per la sua terra che facilmente abbandona, si mostrerà capace di un amore così grande per la sicilia e per i siciliani da fargli abbandonare la vita, l'amore, e persino il suo essere uomo: ColaPesce, in un canto d'amore per i siciliani, sceglierà di vivere in fondo al mare per reggere una delle tre colonne che, crepata, rischia di crollare.
Emozionata da questo racconto, che già conoscevo e che ho apprezzato in tutta la sua commovente drammaticità, rifletto sulla mia amata, adorata terra, e sul suo perenne rischio di "crollare" da un momento all'altro.
Nelle sue contraddizioni e nelle sue incredibili meraviglie, la sicilia (più presente nella mia isoletta così lontana dal mondo cittadino) è anche questo: amata e odiata, maltrattata ed osannata, l'isola (come del resto le isolette) meravigliosa e maledetta, strega e affascina.
Questo archetipo, così presente nel sangue delle mie vene, mi ha sempre fatto provare l'emozione della indipendenza ed insieme della prigionia, rendendomi libera e schiava nello stesso tempo.
Il linguaggio della mia isoletta è ammaliante ed ingannevole come il canto di una sirena: ad un momento ti sembra di averlo colto, e nell'attimo dopo ti fa sentire estraneo, sedotto e abbandonato.
Non si raggiunge mai, dunque, il cuore di un'isoletta o quello dei suoi abitanti: generosi fino all'incredibile ma poi schivi e sospettosi, si affrettano a chiudere rapidi la porta che dà sulla strada, come se due minuscole ante di legno potessero tenere fuori il mondo anche senza una porta blindata.
E del resto, di cosa dovrebbero aver paura gli isolani? C'è il mare a proteggerli: il mare che li isola e li abbraccia, li culla e li imprigiona, tiene lontano il mondo e la civiltà con le sue cattiverie, e se qualcosa ti viene in mente di rubare hai poco lontano da andare, al più fino alla riva del mare.
Io rispetto questo mare, e me ne nutro con discrezione: ché forse non sembra, ma in un connubio antico ed ancestrale fatto di piedi scalzi e di cultura, anche la scelta degli ingredienti ha la sua ragione. Sulla mia isoletta sono la bambina senza scarpe ma anche la donna che ha studiato il perché delle cose, ed usa la conoscenza per buoni fini.
Alcuni ingredienti, i più preziosi, solo una volta l'anno: i ricci, i polpi, le specie in via di estinzione.
Se tutti la pensassimo così, forse questo generoso ed indulgente mare sarebbe più ricco.
Scusate, quindi, se oggi cucino un animale di cui nutro un profondo rispetto: ha l'intelligenza della vita sulla terra ma appartiene al mare. Come ColaPesce.
Vi assicuro che è con estrema giustizia che ce ne nutriamo, a volte persino rinunciandovi, secondo una logica che è difficile spiegare, ma che un giorno scriveremo, io e Zenzero, convinti dell'esigenza di una giustizia necessaria alla convinvenza tra l'uomo e la Natura.
Vacanza: tempo di relax e di profumi, di cibi semplici e di preziose coccole culinarie.
Sull'isoletta mi sveglio ad ogni alba, provando un battito di cuore emozionante ogni volta che il profumo dei dolci si mescola a quello del mare. Non c'è sensazione che io conosca che possa assomigliare a questa piccola, perfetta felicità.
Le giornate sembrano tutte uguali, ed invece è come se mordessi ogni attimo avidamente, come un dolce siciliano con la crema: addentandone il sapore e cercando di trattenerlo in bocca ancora un pò, prima di mandarlo giù a nutrire ogni fibra del corpo.
Ieri sera un piccolo dono insperato: la possibilità di vedere una commedia siciliana, la leggenda di ColaPesce.
ColaPesce è un uomo che decide di lasciare la sua terra, la Sicilia, in cerca di nuova fortuna, ma soprattutto un uomo che scopre nell'incertezza del mare e dei suoi flutti un nuovo regno.
Questo gli dà grande fortuna e lo rende famoso, fino a solleticare le invidie di re Federico II, che gli impone delle pericolose prove che gli faranno rischiare la vita.
La narrazione di queste imprese eroiche dipinge una sicilia poggiata sul fuoco dell'Etna, che scorre sotto il mare, come un "tavolino di terra" che si regge su tre colonne.
L'uomo libero, audace, apparentemente sprezzante per la sua terra che facilmente abbandona, si mostrerà capace di un amore così grande per la sicilia e per i siciliani da fargli abbandonare la vita, l'amore, e persino il suo essere uomo: ColaPesce, in un canto d'amore per i siciliani, sceglierà di vivere in fondo al mare per reggere una delle tre colonne che, crepata, rischia di crollare.
Emozionata da questo racconto, che già conoscevo e che ho apprezzato in tutta la sua commovente drammaticità, rifletto sulla mia amata, adorata terra, e sul suo perenne rischio di "crollare" da un momento all'altro.
Nelle sue contraddizioni e nelle sue incredibili meraviglie, la sicilia (più presente nella mia isoletta così lontana dal mondo cittadino) è anche questo: amata e odiata, maltrattata ed osannata, l'isola (come del resto le isolette) meravigliosa e maledetta, strega e affascina.
Questo archetipo, così presente nel sangue delle mie vene, mi ha sempre fatto provare l'emozione della indipendenza ed insieme della prigionia, rendendomi libera e schiava nello stesso tempo.
Il linguaggio della mia isoletta è ammaliante ed ingannevole come il canto di una sirena: ad un momento ti sembra di averlo colto, e nell'attimo dopo ti fa sentire estraneo, sedotto e abbandonato.
Non si raggiunge mai, dunque, il cuore di un'isoletta o quello dei suoi abitanti: generosi fino all'incredibile ma poi schivi e sospettosi, si affrettano a chiudere rapidi la porta che dà sulla strada, come se due minuscole ante di legno potessero tenere fuori il mondo anche senza una porta blindata.
E del resto, di cosa dovrebbero aver paura gli isolani? C'è il mare a proteggerli: il mare che li isola e li abbraccia, li culla e li imprigiona, tiene lontano il mondo e la civiltà con le sue cattiverie, e se qualcosa ti viene in mente di rubare hai poco lontano da andare, al più fino alla riva del mare.
Io rispetto questo mare, e me ne nutro con discrezione: ché forse non sembra, ma in un connubio antico ed ancestrale fatto di piedi scalzi e di cultura, anche la scelta degli ingredienti ha la sua ragione. Sulla mia isoletta sono la bambina senza scarpe ma anche la donna che ha studiato il perché delle cose, ed usa la conoscenza per buoni fini.
Alcuni ingredienti, i più preziosi, solo una volta l'anno: i ricci, i polpi, le specie in via di estinzione.
Se tutti la pensassimo così, forse questo generoso ed indulgente mare sarebbe più ricco.
Scusate, quindi, se oggi cucino un animale di cui nutro un profondo rispetto: ha l'intelligenza della vita sulla terra ma appartiene al mare. Come ColaPesce.
Vi assicuro che è con estrema giustizia che ce ne nutriamo, a volte persino rinunciandovi, secondo una logica che è difficile spiegare, ma che un giorno scriveremo, io e Zenzero, convinti dell'esigenza di una giustizia necessaria alla convinvenza tra l'uomo e la Natura.
- polpo, circa 800g
- pomodori tondi e maturi, 4
- mais in grani, 2 cucchiai
- capperi, mezzo cucchiaio
- carciofi al naturale, 4 spicchi
- olive bianche, q.b.
- olio e.v. d'oliva
Quando acquistate un polpo, o lo pescate -come noi-, dovete aver cura di "sbatterlo" per bene (ricordate la meravigliosa pubblicità di Dolce e Gabbana?) per renderne tenere le carni. Lo stesso procedimento si ottiene surgelandolo.
Portate ad ebolizione una pentola con abbondante acqua salata.
Prendete quindi il polpo per la testa e fate due o tre "calate" (immersioni rapide in acqua) di modo che i tentacoli si arriccino: oltre ad essere un criterio estetico, serve ad occupare meno spazio nella pentola.
Lasciate cuocere aggiungendo un filo d'olio all'acqua, per almeno 30 minuti, o finché la carne non sarà tenera (potrebbe essere necessario un tempo maggiore, dipende dalla grandezza del polpo), ma è importante che spegniate in tempo per lasciarlo in immersione facendolo raffreddare nella sua acqua. Non deve scuocere.
Conditelo con olio di ottima qualità, sale, e gli ingredienti sopra elencati . Ma vi assicuro che un polpo appena pescato non ha bisogno di alcun condimento!
5 commenti:
Fortissima questa presentazione. Quel polpo è proprio il "re sovrano" nel piatto ^__^ bacioni, buon relax
Bravissima,ho letto tutto dall'inizio alla fine.
Bellissimo post!! Ho quasi respirato l'aria isolana.... ^__^
Ottimo piatto!
Franci
Ottimo ricordare la storia messinese di Colapesce. Grazie mille.
Sono sempre stata incantata da colapesce...per quanto riguarda il nutrirsi con parsimonia del mare sono d'acordo..io mangiola pasta con i ricci uuna volta l'anno, edè un rito, quasi una magia
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