La frutta di martorana è una preparazione dolciaria a base di pasta di mandorle (farina di mandorle e zucchero), tipica della sicilia e in particolare di Palermo, che viene preparata per la ricorrenza del 2 novembre, giorno in cui si commemorano i defunti, altrimenti noto come giorno dei morti.
Molti link, molta storia, molte ricette in questo post. Per leggerle tutte dovete cliccare nei link che vi propongo in basso!
La ricetta della pasta di mandorle di cui vi parlo oggi l'ho imparata leggendo il libro di Maria Grammatico, ma stavolta non l'ho preparata io (le foto però le ho scattate io).
Un tempo, solerte sposina, la preparavo da me. Ogni anno, negli ultimi anni, lascio che me la regalino, dal momento che è un procedimento lungo e impegnativo (non difficile, ma richiede calma e spazio in cucina, e con una bimba piccola non è sempre facile).
E' per questo che le famiglie che si cimentano nella preparazione di solito ne preparano una gran quantità, ed è nostra abitudine regalarla a parenti e amici in occasione della commemorazione dei defunti (qui da noi chiamato anche giorno dei morti). Si costruisce un vero e proprio scambio e confronto di tecniche e ricette, almeno tra le persone di una certa età.
Non escludo di tornare presto a farla, anche perché per i bimbi è un bel gioco di manipolazione.
Ma per noi è ancora troppo presto: preferiamo aspettare ancora un pò.
Nel frattempo vi racconto qualche storia.
La ricetta della pasta di mandorle di cui vi parlo oggi l'ho imparata leggendo il libro di Maria Grammatico, ma stavolta non l'ho preparata io (le foto però le ho scattate io).
Un tempo, solerte sposina, la preparavo da me. Ogni anno, negli ultimi anni, lascio che me la regalino, dal momento che è un procedimento lungo e impegnativo (non difficile, ma richiede calma e spazio in cucina, e con una bimba piccola non è sempre facile).
E' per questo che le famiglie che si cimentano nella preparazione di solito ne preparano una gran quantità, ed è nostra abitudine regalarla a parenti e amici in occasione della commemorazione dei defunti (qui da noi chiamato anche giorno dei morti). Si costruisce un vero e proprio scambio e confronto di tecniche e ricette, almeno tra le persone di una certa età.
Non escludo di tornare presto a farla, anche perché per i bimbi è un bel gioco di manipolazione.
Ma per noi è ancora troppo presto: preferiamo aspettare ancora un pò.
Nel frattempo vi racconto qualche storia.
I morti escono dai cimiteri ed entrano in città. (...) Attraversano la piazza (...) e nel passaggio lasciano i loro regali ai fanciulli buoni. Nel viaggio seguono questo ordine: vanno prima coloro che morirono di morte naturale, poi i giustiziati, poi i disgraziati, cioè i morti per disgrazia loro incolta, i morti "di subito", cioè repentinamente, e via di questo passo.
In frotta o alla spicciolata scendono in città a rubare dolci, giocattoli, vestiti nuovi ai più ricchi pasticceri, mercanti, sarti e quant'altro è in essi morti intenzione di donare ai fanciulli loro parenti, che siano stati buoni nell'anno, che li abbiano devotamente pregati, che abbiano fatto per essi qualche astinenza.
(Giuseppe Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, 1881, Lauriel Editore)
Non è Halloween, ma ci somiglia: e non è recente, ma è festeggiato a Palermo, da molto molto tempo. Così tanto da essere quasi passato di moda.
La festa dei morti ha un'origine che si lega ai riti pagani e alle antiche religioni, in particolare al banchetto funebre, che in sicilia si chiama cònsulu, ovvero pranzo offerto per consolare (generalmente preparato dai vicini per la famiglia a lutto).
Pur avendo oggi connotazione cristiana, la celebrazione si ricollega all'antico culto pagano dei morti. Per l'occasione i dolci prendono forma umana, di artigiani o paladini di zucchero, con l'intento di esorcizzare la morte e riavvicinare chi non c'è più.
La frutta di martorana ha invece una storia tutta sua.
Nel settecento i prodotti gastronomici della cucina siciliana erano specialità della vita monastica: le suore infatti, sostenute dagli agi del clero palermitano e della nobiltà, erano le sole che potevano permettersi la lavorazione di alcuni prodotti e l'insegnamento di alcune competenze all'interno del monastero.
E così la conserva di scurzunera (che è il gelsomino, e prende il nome dal fatto di essere un antidoto al morso di un serpente, 'u scurzuni) era appannaggio della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Montevergini, il Pan di Spagna era delle monache di Santa Maria della Pietà, il riso nero era un dolce della suore della badia del Ss. Salvatore, i mustazzòli o moscardini erano specialità delle suore dell'Immacolata Concezione al Capo, le suore del Conservatorio di Santa Lucia preparavano la cuccìa, nel ex-Monastero di Santa Maria delle Vergini si preparavano le minne di vergine, la caponata si preparava ai Sett'angeli (la piazza dietro la Cattedrale), e così via: potrei continuare per ore.
La Martorana, o Pasta reale, o pasta di mandorle, prende il nome dalla Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o Martorana.
Curiosità: nel 1575 il sinodo diocesano di Mazara del Vallo proibì alle suore la preparazione della Frutta di Martorana perché ... arrecava troppa distrazione al raccoglimento liturgico!
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Setacciare in una ciotola molto capiente la farina di mandorle e lo zucchero a velo. Io li ho versati nell'impastatrice con gancio K, velocità minima.
Scaldare il miele, versarlo a filo. Unire la vaniglia, lo sciroppo di glucosio, l'essenza alla mandorla, e impastate lentamente aggiungendo l'acqua a filo. Si deve ottenere un composto morbido e non troppo molliccio e facilmente manipolabile.
Se necessario, trasferite sul piano di lavoro, e impastate rapidamente fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo, meno appiccicoso del primo. Non lavoratelo troppo a lungo per non riscaldarlo (tipo pastafrolla).
Avvolgetelo in pellicola trasparente e fatelo riposare in frigo per 24h. Il freddo gli darà compattezza e lo renderà più lavorabile.
Utilizzate le apposite formine in gesso (per alcune anche a mano libera) per dare la forma desiderata, cospargendole di amido se necessario, per aiutarvi ad estrarre la pasta di mandorle.
Decorate con intagli e rilievi, colorate con colori alimentari diluiti in liquore o alcool puro (qualche goccia) creando con un pennellino bagnato le sfumature desiderate.
Lasciate asciugare per 24h.
La festa dei morti ha un'origine che si lega ai riti pagani e alle antiche religioni, in particolare al banchetto funebre, che in sicilia si chiama cònsulu, ovvero pranzo offerto per consolare (generalmente preparato dai vicini per la famiglia a lutto).
Pur avendo oggi connotazione cristiana, la celebrazione si ricollega all'antico culto pagano dei morti. Per l'occasione i dolci prendono forma umana, di artigiani o paladini di zucchero, con l'intento di esorcizzare la morte e riavvicinare chi non c'è più.
Per una notte dell'anno, a Palermo come in America (o in qualunque altro posto del nord europa dove sia nata questa credenza), i morti hanno il permesso di vagare per la città: tutto ciò che è brutto, spaventoso e orribile può bussare alla nostra porta parlando di dolci e di regali.
Non è questo un dei significati di Halloween?
Se ho una maschera addosso, il brutto fa meno paura. Se la strega, o la morte, o il vampiro sono io, come posso averne paura?
Questo pensiero devono averlo fatto anche in sicilia, secoli fa. Nella notte tra l'uno ed il due di novembre, infatti, la morte tornava a camminare per le strade, per portare doni ai più meritevoli.
Ai bambini si raccontava che i defunti nascondessero regali (giocattoli e dolci) in punti nascosti della casa, doni come a Natale che ai tempi non ci si poteva permettere se non per occasioni davvero speciali. E ai bambini monelli i morti avrebbero "grattato" i piedi con la grattugia!
Non è questo un dei significati di Halloween?
Se ho una maschera addosso, il brutto fa meno paura. Se la strega, o la morte, o il vampiro sono io, come posso averne paura?
Questo pensiero devono averlo fatto anche in sicilia, secoli fa. Nella notte tra l'uno ed il due di novembre, infatti, la morte tornava a camminare per le strade, per portare doni ai più meritevoli.
Ai bambini si raccontava che i defunti nascondessero regali (giocattoli e dolci) in punti nascosti della casa, doni come a Natale che ai tempi non ci si poteva permettere se non per occasioni davvero speciali. E ai bambini monelli i morti avrebbero "grattato" i piedi con la grattugia!
La frutta di martorana ha invece una storia tutta sua.
Nel settecento i prodotti gastronomici della cucina siciliana erano specialità della vita monastica: le suore infatti, sostenute dagli agi del clero palermitano e della nobiltà, erano le sole che potevano permettersi la lavorazione di alcuni prodotti e l'insegnamento di alcune competenze all'interno del monastero.
E così la conserva di scurzunera (che è il gelsomino, e prende il nome dal fatto di essere un antidoto al morso di un serpente, 'u scurzuni) era appannaggio della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Montevergini, il Pan di Spagna era delle monache di Santa Maria della Pietà, il riso nero era un dolce della suore della badia del Ss. Salvatore, i mustazzòli o moscardini erano specialità delle suore dell'Immacolata Concezione al Capo, le suore del Conservatorio di Santa Lucia preparavano la cuccìa, nel ex-Monastero di Santa Maria delle Vergini si preparavano le minne di vergine, la caponata si preparava ai Sett'angeli (la piazza dietro la Cattedrale), e così via: potrei continuare per ore.
La Martorana, o Pasta reale, o pasta di mandorle, prende il nome dalla Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o Martorana.
Le pie monache confezionavano frutta di pasta reale di ogni tipo, cercando di imitare alla perfezione quella naturale.
Una tradizione vuole che in una circostanza imprecisata (che si suole far ricorrere alla visita del papa), le monache della Martorana abbiano manifatturato frutta che si produce in varie stagioni e che l'abbiano appesa sugli alberi di un piccolo chiostro del loro monastero. I "frutti della Martorana" entrarono ben presto a far parte dei dolci dei morti, e dopo la soppressione delle Corporazioni religiose, avvenuta nel 1866, l'attività e la produzione dolciaria del monastero divenne patrimonio dei pasticcieri della città che, puntualmente, ogni anno, in occasione della celebrazione dei defunti, ne continuano ad adornare le loro vetrine.
I frutti, che oggi hanno le forme più disparate, prendono il nome anche di pasta reale perché l'elevato costo della farina di mandorle e la prelibatezza di questo dolce abilmente manufatto venivano ritenuti degni di un re (probabilmente Ruggero II re di Sicilia).
Una tradizione vuole che in una circostanza imprecisata (che si suole far ricorrere alla visita del papa), le monache della Martorana abbiano manifatturato frutta che si produce in varie stagioni e che l'abbiano appesa sugli alberi di un piccolo chiostro del loro monastero. I "frutti della Martorana" entrarono ben presto a far parte dei dolci dei morti, e dopo la soppressione delle Corporazioni religiose, avvenuta nel 1866, l'attività e la produzione dolciaria del monastero divenne patrimonio dei pasticcieri della città che, puntualmente, ogni anno, in occasione della celebrazione dei defunti, ne continuano ad adornare le loro vetrine.
I frutti, che oggi hanno le forme più disparate, prendono il nome anche di pasta reale perché l'elevato costo della farina di mandorle e la prelibatezza di questo dolce abilmente manufatto venivano ritenuti degni di un re (probabilmente Ruggero II re di Sicilia).
Curiosità: nel 1575 il sinodo diocesano di Mazara del Vallo proibì alle suore la preparazione della Frutta di Martorana perché ... arrecava troppa distrazione al raccoglimento liturgico!
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prega di ri-scrivere la ricetta con parole proprie, e porre sempre e
comunque un link a questo post per la ricetta.
- farina di mandorle, 500g
- zuccherlo a velo, 500g
- miele, 50g (facoltativo)
- acqua, 35g
- sciroppo di glucosio, 50g
- semi di vaniglia, q.b. (potete sostituire con latte di mandorla, qualche goccia)
- essenza alla mandorla amara, qualche goccia
- coloranti alimentari e cacao in polvere
- liquore
Setacciare in una ciotola molto capiente la farina di mandorle e lo zucchero a velo. Io li ho versati nell'impastatrice con gancio K, velocità minima.
Scaldare il miele, versarlo a filo. Unire la vaniglia, lo sciroppo di glucosio, l'essenza alla mandorla, e impastate lentamente aggiungendo l'acqua a filo. Si deve ottenere un composto morbido e non troppo molliccio e facilmente manipolabile.
Se necessario, trasferite sul piano di lavoro, e impastate rapidamente fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo, meno appiccicoso del primo. Non lavoratelo troppo a lungo per non riscaldarlo (tipo pastafrolla).
Avvolgetelo in pellicola trasparente e fatelo riposare in frigo per 24h. Il freddo gli darà compattezza e lo renderà più lavorabile.
Utilizzate le apposite formine in gesso (per alcune anche a mano libera) per dare la forma desiderata, cospargendole di amido se necessario, per aiutarvi ad estrarre la pasta di mandorle.
Decorate con intagli e rilievi, colorate con colori alimentari diluiti in liquore o alcool puro (qualche goccia) creando con un pennellino bagnato le sfumature desiderate.
Lasciate asciugare per 24h.
2 commenti:
Complimenti veramente a chi ha fatto queste meraviglie....sembrano veri questi frutti!!!
Interessantissime anche le storie...e' vero sembra il racconto di Halloween!!!
ciaoo
Davvero un'ottima, gustosa e sfiziosa tradizione siciliana :-).
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