Il cous-cous per me non è una ricetta. Il cous-cous è un'esperienza.
Non si può scrivere, né descrivere, forse si può raccontare.
Ed oggi, con la vostra pazienza, proverò a raccontarvelo, se avrete voglia di arrivare fino alla fine di quello che sicuramente sarà un lungo viaggio.
Siediti vicino a me, diceva mia nonna, e guardami. Metti le mani nella semola, e gira con tre dita, in senso orario: il giro del tempo che passa, del tempo che rallenta, e che ti chiede di aspettare.
E' il piatto della pazienza: preparare la zuppa, preparare gli odori, incocciàre, aspettare, cuocere, lasciarlo riposare. Il cous-cous (si pronuncia cus-cùs o cùscus), decide lui quando è pronto, e per quel pranzo non fissare orari: non potrai rispettarli.
Il cous-cous non è un piatto: quando decidi di farlo, è IL piatto. Non è che lo improvvisi: ci devi pensare, te ne devi occupare e pre-occupare. E non perché è difficile, ma perché richiede tempo, spazio, calma, pazienza. Il cous-cous è vivo.
E' un piatto ancestrale, antico. E' una radice salda, eterna, nella mia famiglia.
Da generazioni le nostre mamme e nonne donano a corredo ad ogni fanciulla una cuscusièra, la pentola che serve a cucinare la semola a vapore. Quelle che, come me, "esagerano", ne hanno diverse, in misura e materiale. Questa pentola è come uno scolapasta in argilla dipinta di un materiale speciale, che resiste al calore, e generalmente è artigianale. I fori sono larghi, e non perfettamente rotondi, sono anzi un pò obliqui, in modo da non far cadere la semola sul fondo. Le hanno realizzate anche in acciaio inox, ed io ne ho una, ma non l'ho mai usata. La cuscusiera si poggia sul bordo di una pentola ad-hoc dove si mette a bollire un brodo profumato, senza immergerla: deve stare sospesa. La semola si cuoce a vapore. Se del vapore fuoriesce, si fa la cuddùra: un cordoncino di acqua e farina, che si incolla sul bordo tra la cuscusièra e la pentola, in modo da non far evaporare tutta l'acqua.
Eppure questo aspetto di me, isolano, multietnico, couscousàro, pochi lo conoscono.
Consapevolmente o meno, al cous-cous ci si "prepara da prima": quanto tempo prima dipende da ciascuno di noi, ma è una ricetta a cui cominci a pensare, emerge da uno sfondo di desiderio e necessità (quando ad esempio lo prepari per una ricorrenza), continua con la programmazione e l'acquisto di alcuni ingredienti, alcuni non sempre a portata di mano (per prima la semola), va avanti con una specie di preparazione interiore, di pre-disposizione del tempo e dello spazio per creare.
Spero che nella mia famiglia la ricetta del cous-cous non muoia mai, e che si trasmetta di generazione in generazione. Non riesco ad immaginare mia figlia che non sappia preparare il cous-cous.
Quando si prepara il cous-cous, dalle mie parti, che sia un'esperienza condivisa, o che sia fatta "in solitudine" da una sola persona, non è mai un'esperienza solitaria.
Non sono mai sola quando preparo il cous-cous: mi piace credere che in ogni donna della mia famiglia, la semola e la sua preparazione hanno il potere di rievocare storie, aneddoti, tecniche e persone. "La Zia lo faceva così, ma a me non piaceva; e mi piaceva quello della nonna Ics. Alla nonna sarebbe piaciuta questa incocciàta, è proprio come piace a lei. E ti ricordi quando quella volta lo abbiamo fatto così ed è venuto buonissimo? Sì, ma come lo fa Tizia non lo fa nessuno. Ma lo sai che la signora del piano di sopra fa sempre un profumo buonissimo? Chissà che ci mette in quella zuppa"...
Queste sono sono alcune delle frasi che echeggiano intorno alla preparazione del cous-cous.
Io, quando mi preparo al cous-cous, faccio una specie di viaggio interiore nei ricordi: dai tempi in cui ero piccola, attraverso le feste in famiglia, fino all'ultima volta che l'ho preparato per mia nonna (di preciso non ricordo, ma, nel tempo, è avvenuto che i ruoli si scambiassero, e mi sono trovata a prepararlo io per lei, quando lei, che con le sue mani lisce e sottili lo aveva preparato per anni, aveva smesso di cucinare).
Mi ricordo i suoi occhi azzurri, ogni giorno un pò più piccoli, ma grandi, grandissimi quando volevano parlare, e la voce che non l'accompagnava nel dire tante cose. Quegli occhi, allora, diventavano eloquenti ed espressivi, e lei sorrideva con tutto il corpo.
L'ultimo ricordo che ne ho, riguardo al cous-cous, è un messaggio enfatizzato dalla testa che annuiva e che suonava così: "brava, brava: è buonissimo. Posso stare tranquilla del fatto che ti ho insegnato bene". Queste parole univano la sua soddisfazione nel mangiarlo a quella verso l'aver tramandato una cosa importante.
Sai nonna, io penso che il senso della vita di ogni persona sia questo: poter fare qualcosa su questa terra, e lasciare un ricordo che vive nelle persone che amiamo. Dalla cenere veniamo, alla cenere ritorneremo, ma questo passaggio non è invano, e lascia sempre una traccia, in quello che abbiamo insegnato, in quel che di buono abbiamo fatto. Non possiamo fare a meno di morire, ma possiamo fare in modo che qualcosa di noi resti, non nelle cose, ma nei cuori.
Pensando alla mia nonna Annina, ho fatto questo cous-cous: la prima volta dall'anno scorso, quando lei se n'è andata via.
La nostra famiglia ha origini isolane: la tradizione per noi è il cous-cous di pesce favignanese. Che dire, ce l'abbiamo nel sangue, in famiglia TUTTE lo fanno, il cous-cous di pesce!
Io, che sono sempre stata la pecora nera, sono quella che lo prepara anche di carne e di verdure.
Ci sono due modi di portare avanti una tradizione (entrambi belli, ma differenti): uno è quello di chiuderla in una ritualità che si perpetua nel tempo, e che prova a ripetersi sempre uguale; un altro è quello di aprirsi alla ricerca e all'integrazione, per poi tornare "all'ovile" e compiere quello che è, in fondo, il fine ultimo: cercare la propria unicità.
Io mi sono mossa su questa seconda pista, dopo aver battuto la prima per la maggior parte della mia vita ai fornelli. Esisteva UN SOLO modo di preparare il cous-cous, finché, negli anni, l'assidua frequentazione del Cous-Cous Fest non mi ha fatto mescolare in mezzo alla gente di tanti paesi del mondo, guardando mani dai mille colori mescolare la semola a mille ingredienti.
E allora mi sono innamorata. Mi sono innamorata del mondo, della vita-che-nutre, del mare-che-trasporta: di questo Mediterraneo che culla una tradizione millenaria, e che permette alla gente di farla giungere anche in paesi lontani, come raggi che arrivano fin dove il sole sembra non poter arrivare.
Il cous-cous è intimo e di tutti. E' sangue nelle vene e studio sui libri.
Il cous-cous è festa con un pizzico di tristezza. E' ricchezza e povertà.
Il cous-cous è fatto di tanti granelli, come la sabbia del mare, ognuno diverso ma uguale all'altro.
E' per questo che il cous-cous unisce, e spero continuerà ad unire sempre, come il mare che bagna le coste portando ovunque lo stesso messaggio.
Oggi mi dilungo a raccontarlo, e vale la pena di spendere tante parole.
Nel mio cous-cous (ma oso pensare anche nel cous-cous di ogni famiglia) rivivono le persone che amo, e che mi hanno insegnato il valore di nutrire qualcuno con un gesto di pazienza, lentezza, e amore.
Perché il cous-cous riempie la pancia, ma nutre l'anima.
Non importa con quali ingredienti è preparato, o quale ricetta scegli: il cous-cous non verrà mai uguale, perché vive dell'aria che c'è intorno, della gente che lo condivide, e della storia che lo accompagna.
E c'è un valore aggiunto, nel cous-cous preparato in casa, che è proprio quello di essere custode di segreti lievi, che rendono ogni gesto un pò speciale.
Il cous-cous, dicevo, non si insegna. Il cous-cous si racconta: siediti vicino a me, diceva mia nonna, e guarda.
Non si può scrivere, né descrivere, forse si può raccontare.
Ed oggi, con la vostra pazienza, proverò a raccontarvelo, se avrete voglia di arrivare fino alla fine di quello che sicuramente sarà un lungo viaggio.
Siediti vicino a me, diceva mia nonna, e guardami. Metti le mani nella semola, e gira con tre dita, in senso orario: il giro del tempo che passa, del tempo che rallenta, e che ti chiede di aspettare.
E' il piatto della pazienza: preparare la zuppa, preparare gli odori, incocciàre, aspettare, cuocere, lasciarlo riposare. Il cous-cous (si pronuncia cus-cùs o cùscus), decide lui quando è pronto, e per quel pranzo non fissare orari: non potrai rispettarli.
Il cous-cous non è un piatto: quando decidi di farlo, è IL piatto. Non è che lo improvvisi: ci devi pensare, te ne devi occupare e pre-occupare. E non perché è difficile, ma perché richiede tempo, spazio, calma, pazienza. Il cous-cous è vivo.
E' un piatto ancestrale, antico. E' una radice salda, eterna, nella mia famiglia.
Da generazioni le nostre mamme e nonne donano a corredo ad ogni fanciulla una cuscusièra, la pentola che serve a cucinare la semola a vapore. Quelle che, come me, "esagerano", ne hanno diverse, in misura e materiale. Questa pentola è come uno scolapasta in argilla dipinta di un materiale speciale, che resiste al calore, e generalmente è artigianale. I fori sono larghi, e non perfettamente rotondi, sono anzi un pò obliqui, in modo da non far cadere la semola sul fondo. Le hanno realizzate anche in acciaio inox, ed io ne ho una, ma non l'ho mai usata. La cuscusiera si poggia sul bordo di una pentola ad-hoc dove si mette a bollire un brodo profumato, senza immergerla: deve stare sospesa. La semola si cuoce a vapore. Se del vapore fuoriesce, si fa la cuddùra: un cordoncino di acqua e farina, che si incolla sul bordo tra la cuscusièra e la pentola, in modo da non far evaporare tutta l'acqua.
Eppure questo aspetto di me, isolano, multietnico, couscousàro, pochi lo conoscono.
Consapevolmente o meno, al cous-cous ci si "prepara da prima": quanto tempo prima dipende da ciascuno di noi, ma è una ricetta a cui cominci a pensare, emerge da uno sfondo di desiderio e necessità (quando ad esempio lo prepari per una ricorrenza), continua con la programmazione e l'acquisto di alcuni ingredienti, alcuni non sempre a portata di mano (per prima la semola), va avanti con una specie di preparazione interiore, di pre-disposizione del tempo e dello spazio per creare.
Spero che nella mia famiglia la ricetta del cous-cous non muoia mai, e che si trasmetta di generazione in generazione. Non riesco ad immaginare mia figlia che non sappia preparare il cous-cous.
Quando si prepara il cous-cous, dalle mie parti, che sia un'esperienza condivisa, o che sia fatta "in solitudine" da una sola persona, non è mai un'esperienza solitaria.
Non sono mai sola quando preparo il cous-cous: mi piace credere che in ogni donna della mia famiglia, la semola e la sua preparazione hanno il potere di rievocare storie, aneddoti, tecniche e persone. "La Zia lo faceva così, ma a me non piaceva; e mi piaceva quello della nonna Ics. Alla nonna sarebbe piaciuta questa incocciàta, è proprio come piace a lei. E ti ricordi quando quella volta lo abbiamo fatto così ed è venuto buonissimo? Sì, ma come lo fa Tizia non lo fa nessuno. Ma lo sai che la signora del piano di sopra fa sempre un profumo buonissimo? Chissà che ci mette in quella zuppa"...
Queste sono sono alcune delle frasi che echeggiano intorno alla preparazione del cous-cous.
Io, quando mi preparo al cous-cous, faccio una specie di viaggio interiore nei ricordi: dai tempi in cui ero piccola, attraverso le feste in famiglia, fino all'ultima volta che l'ho preparato per mia nonna (di preciso non ricordo, ma, nel tempo, è avvenuto che i ruoli si scambiassero, e mi sono trovata a prepararlo io per lei, quando lei, che con le sue mani lisce e sottili lo aveva preparato per anni, aveva smesso di cucinare).
Mi ricordo i suoi occhi azzurri, ogni giorno un pò più piccoli, ma grandi, grandissimi quando volevano parlare, e la voce che non l'accompagnava nel dire tante cose. Quegli occhi, allora, diventavano eloquenti ed espressivi, e lei sorrideva con tutto il corpo.
L'ultimo ricordo che ne ho, riguardo al cous-cous, è un messaggio enfatizzato dalla testa che annuiva e che suonava così: "brava, brava: è buonissimo. Posso stare tranquilla del fatto che ti ho insegnato bene". Queste parole univano la sua soddisfazione nel mangiarlo a quella verso l'aver tramandato una cosa importante.
Sai nonna, io penso che il senso della vita di ogni persona sia questo: poter fare qualcosa su questa terra, e lasciare un ricordo che vive nelle persone che amiamo. Dalla cenere veniamo, alla cenere ritorneremo, ma questo passaggio non è invano, e lascia sempre una traccia, in quello che abbiamo insegnato, in quel che di buono abbiamo fatto. Non possiamo fare a meno di morire, ma possiamo fare in modo che qualcosa di noi resti, non nelle cose, ma nei cuori.
Pensando alla mia nonna Annina, ho fatto questo cous-cous: la prima volta dall'anno scorso, quando lei se n'è andata via.
La nostra famiglia ha origini isolane: la tradizione per noi è il cous-cous di pesce favignanese. Che dire, ce l'abbiamo nel sangue, in famiglia TUTTE lo fanno, il cous-cous di pesce!
Io, che sono sempre stata la pecora nera, sono quella che lo prepara anche di carne e di verdure.
Ci sono due modi di portare avanti una tradizione (entrambi belli, ma differenti): uno è quello di chiuderla in una ritualità che si perpetua nel tempo, e che prova a ripetersi sempre uguale; un altro è quello di aprirsi alla ricerca e all'integrazione, per poi tornare "all'ovile" e compiere quello che è, in fondo, il fine ultimo: cercare la propria unicità.
Io mi sono mossa su questa seconda pista, dopo aver battuto la prima per la maggior parte della mia vita ai fornelli. Esisteva UN SOLO modo di preparare il cous-cous, finché, negli anni, l'assidua frequentazione del Cous-Cous Fest non mi ha fatto mescolare in mezzo alla gente di tanti paesi del mondo, guardando mani dai mille colori mescolare la semola a mille ingredienti.
E allora mi sono innamorata. Mi sono innamorata del mondo, della vita-che-nutre, del mare-che-trasporta: di questo Mediterraneo che culla una tradizione millenaria, e che permette alla gente di farla giungere anche in paesi lontani, come raggi che arrivano fin dove il sole sembra non poter arrivare.
Il cous-cous è intimo e di tutti. E' sangue nelle vene e studio sui libri.
Il cous-cous è festa con un pizzico di tristezza. E' ricchezza e povertà.
Il cous-cous è fatto di tanti granelli, come la sabbia del mare, ognuno diverso ma uguale all'altro.
E' per questo che il cous-cous unisce, e spero continuerà ad unire sempre, come il mare che bagna le coste portando ovunque lo stesso messaggio.
Oggi mi dilungo a raccontarlo, e vale la pena di spendere tante parole.
Nel mio cous-cous (ma oso pensare anche nel cous-cous di ogni famiglia) rivivono le persone che amo, e che mi hanno insegnato il valore di nutrire qualcuno con un gesto di pazienza, lentezza, e amore.
Perché il cous-cous riempie la pancia, ma nutre l'anima.
Non importa con quali ingredienti è preparato, o quale ricetta scegli: il cous-cous non verrà mai uguale, perché vive dell'aria che c'è intorno, della gente che lo condivide, e della storia che lo accompagna.
E c'è un valore aggiunto, nel cous-cous preparato in casa, che è proprio quello di essere custode di segreti lievi, che rendono ogni gesto un pò speciale.
Il cous-cous, dicevo, non si insegna. Il cous-cous si racconta: siediti vicino a me, diceva mia nonna, e guarda.
Per 6-8 persone:
- semola di grano, 600g
La Semola è una farina di granulometria maggiore (vedi la seconda foto) dove i singoli componenti sono di forma arrotondata e non in polvere. In pratica, sono dei granelli. Con questo termine non si intende la farina di semola, ottenuta dai suddetti granelli, ma ridotta in polvere della consistenza della normale farina. La semola per il cous-cous può avere varie dimensioni. Più grande è, meglio risulta: dal momento che è un piatto che va servito in brodo (o quasi), una semola troppo fine lo riduce in "pappetta".
- olio e.v.o., q.b.
- acqua, q.b.
- prezzemolo, 1 mazzetto
- sedano, 2 coste
- carota, 2 medie
- cipolla, 2 medie
- menta fresca, 20 foglioline
- mandorle pelate tritate, 100g.
Gli aromi (da usare sia per la zuppa che per la semola):
- cumino
- coriandolo
- chiodi di garofano
- cannella
- semi di finocchio
- bacche di ginepro
- curry
- zafferano
Le 7 verdure:
- cipolla, 2 grandi
- carote, 3 o 4 grandi
- cavolo verza, una decina di foglie
- zucchine genovesi, 2 grandi
- ceci, 400g
- patate, 400g
- pomodoro per sugo, 400g
Le tre carni:
- agnello in pezzi, 1,2 kg
- tacchino ossobuco o coscia, 500g
- vitello per brodo con osso, 600g
Scegliete carne poco magra e con ossa, che insaporisca bene in brodo: sarà questo a dare sapore al cous-cous.
Fase uno: gli aromi.
Prendete tutti gli aromi in semi e poneteli al centro di una garza sterile (sì, quella medicinale!).
Chiudete la garza a caramella, usando uno spago da cucina.
Fase due: la zuppa.
Tagliate cipolla, sedano, carota, e rosolatele leggermente con un pò d'olio, in un tegame grande che contenga tutta la carne e lo stesso suo volume in brodo.
Unite la carne, i ceci (che avrete tenuto in ammollo per una notte), il pomodoro a piccoli pezzi, il sale, e acqua in proporzione doppia rispetto alla carne.
Aggiungete gli aromi in polvere (come curry e zafferano) e la caramella con gli aromi in semi.
Coprite, e fate cuocere a fuoco medio. La carne dovrà risultare quasi stracotta, ed il brodo dev'essere MOLTO abbondante.
Fase tre: l'incocciàta.
Incocciàre in siciliano indica qualcosa di simile a "incontrare". In questo caso la semola incontra l'olio o l'acqua e li assorbe.
Ponete la semola cruda in un piatto molto grande, largo e basso, chiamato "mafaradda".
Allargatela verso i bordi, e fate un buco al centro.
Allargatela verso i bordi, e fate un buco al centro.
Mettetevi accanto due ciotoline, una con olio e.v.o., l'altra con acqua a temperatura ambiente.
Versate a filo l'olio al centro della semola, poco per volta, e cominciate a girare con tre polpastrelli piccole quantità di semola per volta [tenendo la mano un pò come il Cristo Pantocrator (scusate l'immagine, ma coincide con la religiosità del gesto, e poi non sapevo come renderlo!) ma rivolta verso il basso]. Usate tre dita in senso rotatorio.
L'intento è quello di "raggrumare" le semola in piccole palline agglomerate poco più grandi di un seme di sesamo.
A questo punto non posso dirvi che usare il buon senso: usate le proporzioni che preferite di acqua e olio, e fate in modo che il vostro movimento, in senso orario, si irradi dal centro del vostro piatto verso l'esterno, di modo che tutta la semola venga inumidita dall'olio. Quando avrete raggiunto la consistenza leggermente umida (qui entra in gioco l'esperienza) procedete con l'acqua, con la stessa operazione.
Tutta la semola dev'essere inumidita e deve aver cambiato colore, diventando meno trasparente, ma non dev'essere bagnata o zuppa, e i grani devono poter ancora scivolare via tra loro, senza attaccarsi troppo.
Salate.
C'è chi lascia asciugare la semola così lavorata per un pò di tempo. Io stavolta non l'ho fatto.
Salate.
C'è chi lascia asciugare la semola così lavorata per un pò di tempo. Io stavolta non l'ho fatto.
A questo punto unite un trito finissimo di erbe fresche che avrete passato al mixer: cipolla, aglio se lo gradite, sedano, carota, menta, prezzemolo. Siate generosi, fino a far diventare quasi verde la semola.
Unite infine gli aromi in polvere, gli stessi di sopra.
Incocciate ancora un pò, e lasciate a riposare in un luogo umido.
Fase quattro: la cottura della semola.
Prendete un altra pentola molto capiente, e profumate l'acqua con altri aromi freschi: cipolla, sedano, carote in grossi pezzi.
Unite anche le patate, sbucciate e lavate, le zucchine, pulite e tagliate in pezzi grossi, il cavolo verza tagliato grossolanamente, una grossa cipolla ad anelli: queste verdure saranno poi unite al brodo, quando saranno cotte. Non tagliatele a piccoli pezzi perché scuocerebbero: la cottura a parte permette di regolarne la consistenza.
Su questa pentola ponete la cuscusiera, nella quale verserete, appena preso il bollore (e non prima), la semola in un solo colpo, al centro. Coprite con un coperchio, e verificate che non vi siano perdite di vapore dai bordi.
Le verdure cuoceranno in pochi minuti: scolatele, e ponetele nella stessa pentola con il brodo di carne, per insaporirle.
Proseguite la cottura della semola, se necessario preparando la cuddùra.
Questa quantità di semola cuoce a vapore in circa 20 minuti, fuoco medio-basso. Spegnete quando la semola, assaggiandola, vi sembra al dente: la cottura proseguirà "a riposo".
Fase cinque: il bagno di brodo ed il riposo.
Questa è l'ultima fase, quella che di solito avviene quando si ha già fame, ed è dura aspettare, ma il cous-cous non è pronto né buono se non riposa.
Il cous-cous cotto va posto nù lemmu (il lemmo è un contenitore di terracotta di antiche origini, a forma di cono tronco), irrorato ma non inzuppato con il brodo caldo di carne, condito con pezzi di verdure e di carne, e una parte del trito grossolano di mandorle. Mescolate un pò e coprite con uno strofinaccio largo.
Nel frattempo disossate tutta la carne, tagliatela a pezzetti regolari, ponetela in caldo nel brodo (dal quale avrete eliminato e buttato via il sacchetto con gli aromi), ed alla fine in un piatto per servirla in tavola.
Il tempo del riposo si gioca d'esperienza. L'unico suggerimento che mi sento di darvi e di assaggiare il cous-cous, e di tirarlo fuori quando la semola ha assorbido il brodo, ed è di nuovo parzialmente sgranata, ma soprattutto quando non vi sembra scotto (in bocca resta consistente, e non si spappola). Non deve perdere del tutto il calore.
Fase sei: impiattare.
Per ogni commensale va servita una ciotola di cous-cous ed una uguale quantità di brodo.
E' buona usanza servirlo senza brodo, e ciascuno, da una zuppiera o da una salsiera, potrà irrorarlo a suo piacimento.
Servite anche la carne da accompagnare nello stesso piatto del cous-cous.
Mettete in tavola delle ciotole con il trito di mandorle rimanente, che sarà la spolverata finale del piatto.
E dal momento che sono andata molto d'abitudine, e nel racconto puà essermi sfuggito qualche particolare, se decidete di cimentarvi e volete assistenza, contattatemi.
Curiosità:
Si definisce couscous sia la semola cruda che il piatto cotto.
I cereali che costituiscono l'ingrediente base possono essere diversi: orzo, miglio, frumento, bulgur, etc., usati singolarmente o mescolati tra loro.
Il modo di condirlo, invece, si adatta ad usi, costumi, tradizioni e clima. In sicilia, ad esempio, alla originaria zuppa di carni grasse (tipiche dei luoghi montani) si è sostituita la zuppa di pesce.
E' un piatto che nasce nel nord-africa, tra i berberi, ma che viene diffuso fino alla Costa d'Avorio e oggi conosciuto in tutto il mondo. E' piatto nazionale in Marocco, Tunisia e Algeria.
Secondo l' Artusi furono gli Israeliti che con i loro spostamenti contribuirono a farlo conoscere in Europa e nel mondo. Nel mediterraneo, invece, la diffusione del cous cous coincide con le terre abitate dalla dominazione araba.
Il couscous è oggi un piatto sia freddo che caldo: nel primo caso viene servito asciutto, nel secondo in brodo.
Nelle comunità indigene viene servito la sera, in alcuni casi a pranzo, in un unico piatto per tutti i commensali, e viene mangiato (secondo l'usanza religiosa musulmana) con tre dita. Per mangiarlo si usano talvolta anche pezzetti di pane arabo che aiutano a portarlo alla bocca.
Questa ricetta partecipa al contest :
12 commenti:
Ciao Mela, il racconto della preparazione del cous cous con tua nonna mi ha letteralmente rapita! In famiglia da noi non si è mai fatto il cous cous, in effetti nel palermitano è difficile che si prepari, ma mio marito è della provincia di Trapani, sua nonna era trapanese e preparava il cous ous di pesce. Un giorno abbiamo deciso di farlo: mio marito ricordava i gesti di sua nonna, Stella (la nonna) ci guidava passo passo al telefono...due giorni di lavoro, ma ho avuto la soddisfazione immensa, quando le mandai il mio cous cous per assaggiarlo, di sentirle dire "brava, sei davvero brava, l'hai preparato proprio come se l'avessi fatto io".
Complimenti, sei bravissima!
Grazie grazie grazie....mi sembrava nel leggere il tuo racconto di essere in un libro...ambientato tra meridione e mediterraneo con un profumo quasi arabo... che magia di sensazioni e di ricordi... che gesti rituali che creano un'atmosfera... magnifico... di certo se mai dovessi andare in Sicilia cercherei una couscussiera! mi hai fatto venire voglia di provare..... grazie mille anche delle tue ricette... è stato un piacere stare con te in questo post :-) buona serata! Ely
Post davvero meraviglioso.
Bella anche la ricetta, ma il racconto intimo e pieno di trasporto è davvero magnifico.
Complimenti per il post! Leggendolo si respira l'aria della nostra bellissima isola...Splendida ricetta:) Un bacione
grazie.
bellissimo questo racconto, mentre leggevo immaginavo tutto! grazie
sono rapita...e dato che sono isolana..conosco ogni luogo da te citato..
Ti ringrazio per la partecipazione e mi complimento per questo bellissimo post.
Spero che tu riesca a partecipare anche per gli altri continenti (magari le Americhe che sono pochi) e .... in bocca al lupo
Ciao
Ah, che meraviglia! Certo che io non posso competere, anche se il cous cous lo adoro, e lo abbino praticamente a qualsiasi cosa (spero che non sia un'"eresia" culinaria!)! Il fascino del cous cous, che ritrovo nel tuo bellissimo post, ho iniziato a percepirlo qualche anno fa, una sera in cui ho partecipato a una cena di cous cous preparata dalla cuoca del ristorante El Pocho di San Vito Lo Capo. E' stata una serata magica, con lei che raccontava la meraviglia del far nascere da zero il cous cous (non come me che lo compro nei pacchetti!) e ogni tanto imbracciava la chitarra e oltre ai sapori e ai profumi ci faceva assaporare anche i suoni della sua terra...
Non mi posso sbilanciare perché faccio parte della giuria....e poi Gianni mi sgrida....ma perdindirindina che post!!!! Bravissima, baci
Racconto ammaliante e immagini accattivanti, anch'io adoro il cous cous e la sua preparazione, ma nonriesco a trovare, qui a Palermo, la semola grossa adatta. Sai darmi una dritta Mela?
grazie
baci
mi vengono in mente le mie estati a san vito i miei natali a trapani, l'odore dell'aglio, del prezzemolo l'incocciatura delle mie nonne che lo lavoravano insieme, il riposo del couscous dopo la cottura tanti ricordi molti tristi di un'infanzia che non ritorna più...e che mi ha tolto mia nonna quando ancora doveva insegnarmi tante cose.....rivedo la tua incocciatura e penso che mia madre debba ritornarlo a fare, non bisogna perdere ancora altro tempo, Sai mi ricordo le alzatine alle 6 per cominciare a prepare tutto, le mani sporche di sugo e l'odore del brodo di pesce...con scorfani, fagiani, gamberetti, è inutile trapani ce l'abbiamo nel sangue e non si dimentica tanto facilmente!
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